Avvenire di Calabria

Vinitaly. Enologia italiana (quasi) in cima al mondo

Fra le centinaia di case vitivinicole il tema è di fatto uno solo: come vendere sempre meglio e sempre più efficacemente

Andrea Zaghi

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Buono e anche in qualche modo “bello”. Può essere sintetizzato così il tratto essenziale del vino italiano. Un prodotto che, forse più di altri, sintetizza tutte le caratteristiche dell’agroalimentare nazionale: di grande qualità, legato al territorio eppure internazionale, con ancora una serie di problemi da risolvere ma anche con diversi pregi che ne fanno uno degli alfieri del buon nome del Paese nel mondo. E anima di un comparto che conta una sapienza produttiva che vale miliardi di euro.
Non è un caso quindi che uno degli appuntamenti più importanti al mondo – il Vinitaly di Verona che si è aperto ieri -, sia proprio in Italia. Ma soprattutto non è un caso che l’edizione di quest’anno abbia un occhio di riguardo ai mercati emergenti come quelli della Cina e del Giappone, oltre che a quelli tradizionalmente più ricchi come quelli Usa. In questi giorni, fra le centinaia di case vitivinicole che fanno bella mostra delle loro etichette, il tema è quindi di fatto uno solo: come vendere sempre meglio e sempre più efficacemente, avendo a che fare con una concorrenza accesa e magari non proprio corretta fino in fondo. Perché anche quello del vino è un comparto nel quale i falsi prodotti impazzano, dando vita ad un mercato che vale decine e decine di milioni di euro. Con le etichette italiane che spesso sono quelle prese più di mira. Per questo Coldiretti anche a Verona ha puntato molto sull’analisi degli strumenti di tutela delle denominazioni in Europa e nel mondo; mentre il Ministero per le politiche agricole ha sottolineato nella serie di eventi in programma la necessità di estendere i controlli di qualità ma anche di allargare la rete di ricerca che in Italia comunque è già molto forte.
Ma, se tutela e competitività, ricerca e innovazione sono di fatto le parole d’ordine dal punto di vista economico, quando si parla di vino occorre anche tenere conto dell’altra faccia della medaglia. Il vino è infatti anche storia e paesaggio ma anche moda e costume in tutte le sfaccettature possibili. Per capire qualcosa di più basta guardare l’analisi del mercato che l’agenzia specializzata Wine News ha reso nota in questi giorni. Ribaltando uno dei concetti più ovvi del marketing, se è vero che ogni tipo di consumatore ha una sua tipologia di vini preferiti, è altrettanto vero il contrario, ossia che ogni vino ha una sua tipologia di consumatori tipo. Insomma ad ogni vino un certo mercato che si interseca con altre decine di mercati. Complessità alla ribalta quindi, ma certamente da tenere in conto visto che deriva dall’analisi di 85mila vendite effettuate su “Tannico” uno dei siti di commercio vitivinicolo più importanti in Italia. Già, perché seguendo le tendenze del mercato agroalimentare anche quello del vino ha ormai in Internet uno dei suoi punti di forza. Con tutte le opportunità e rischi che ne derivano.
Poi ci sono i numeri. Ismea ne ha elencati alcuni chiarissimi. Nel 2017 l’Italia ha mantenuto il primato produttivo internazionale. Nonostante un’annata particolarmente difficile, i 42,5 milioni di ettolitri prodotti hanno permesso a Paese di essere davanti a Francia e Spagna. Contiamo su 310mila aziende agricole (con 652mila ettari) e quasi 46mila aziende vinificatrici. L’industria del vino vale circa 13 miliardi. Certo, negli ultimi anni si è assistito ad un processo di concentrazione aziendale, molte imprese cioè hanno chiuso ma quelle che sono rimaste sono più efficienti. Siamo forti anche di un ricco panorama di 526 riconoscimenti comunitari. Soprattutto poi, accanto ad un aumento della domanda interna, crescono le esportazioni: adesso l’Italia è il secondo Paese esportatore nel mondo, dopo la Francia in termini di valore e dopo la Spagna in termini di quantità. Detto in altro modo, le nostre vendite all’estero valgono sei miliardi di euro. Un traguardo mai raggiunto. Usa, Germania, Regno Unito, Svizzera e Canada, Russia i nostri mercati principali, con Giappone e Cina che presto saranno importantissimi. Tutto con un ruolo determinante del sistema delle cooperative. Secondo Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, nel 2017 l’export di queste antine ha toccato la cifra di 1,9 miliardi di euro. Sempre le coop, inoltre, valgono il 58% della produzione, il 44% del fatturato.
Vino italiano, dunque, al pari della Ferrari. Anche se rimangono aree in cui fare di più – come l’intero Mezzogiorno -, e una buona dose di bottiglie senza denominazioni e protezioni. Ma la materia prima c’è tutta. Il vino di casa nostra può correre ancora più velocemente nel mondo. Occorre non far calare l’attenzione su ogni particolare dal campo alle tavole. Lavoro di squadra ad alto livello, quindi. Tenendo conto che anche la Ferrari si ferma se è senza carburante.

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