Avvenire di Calabria

Accoglienza profughi: Ue egoista, l’Italia è sola

Dimitris Avramopoulos, commissario responsabile per la migrazione, ha commentato: “La solidarietà in termini giuridici, politici e morali non può essere interpretata in modi diversi”.

Gianni Borsa

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A parole sono tutti solidali con Roma. Ma poi i migranti sbarcati sulle coste della Penisola restano in Italia. Che si deve giustamente far carico di salvare chi fugge da guerra, fame, persecuzioni, cambiamenti climatici, e poi agire ancora praticamente in solitudine per l’accoglienza a breve termine e l’integrazione di medio-lungo periodo. Così stabiliscono gli accordi di Dublino e il diritto internazionale; così impone l’egoismo di tanti altri Paesi europei.

La scorsa settimana è stata emblematica in tal senso. A fronte di crescenti arrivi via mare, i vertici Ue (Juncker, Tusk, Tajani), il Parlamento europeo, la Commissione, persino il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, hanno riaffermato la necessità di sostenere i Paesi di primo approdo, ossia Italia e Grecia. Poi, il 17 maggio, è arrivata la relazione dell’Esecutivo di Bruxelles sui cosiddetti “ricollocamenti”: i Paesi dell’Ue (per loro stessa decisione assunta in sede di Consiglio europeo nell’estate 2015) avrebbero dovuto farsi carico di 160mila profughi attualmente ospitati in Italia e Grecia, ma attualmente il conto si ferma a 18.418 (5.711 dall’Italia e 12.707 dalla Grecia).

Il piano di ricollocamenti dovrebbe chiudersi a fine settembre, per cui mantenere gli impegni sarà impossibile. Anche perché, come hanno denunciato tanti eurodeputati da Strasburgo, la maggior parte dei governi erige muri, palesi o sottintesi, per le più diverse ragioni: chi esplicitamente non vuole tra i piedi i migranti (è la posizione di Ungheria e Polonia), chi ne ha prese in carico poche unità (pretendendo fra l’altro di operare una “scelta di qualità” tra i profughi: donne sì, uomini no; cristiani sì, musulmani no…). C’è anche chi ha fatto una parte del proprio compito, lasciandolo però a metà. I Paesi generosi si contano sulle dita di una mano, con in testa la Germania, mentre gli unici Stati che hanno adempiuto totalmente ai loro obblighi sono Finlandia e Malta.

Dimitris Avramopoulos, commissario responsabile per la migrazione, ha commentato: “Il successo del meccanismo di ricollocazione non può dipendere solo da alcuni Stati membri. La solidarietà in termini giuridici, politici e morali non può essere interpretata in modi diversi”. “Esorto quindi gli Stati membri che hanno sistematicamente omesso di rispettare i propri obblighi a cominciare ad adempierli immediatamente”.
Nella relazione della Commissione si legge: “Ungheria, Polonia e Austria rimangono gli unici Stati membri che non hanno ancora ricollocato alcuna persona, in violazione dei loro obblighi”. L’Austria, almeno, ha fatto sapere che provvederà a ricollocare 50 persone dall’Italia. E poi c’è il caso della Repubblica Ceca, che da un anno ha sospeso ogni impegno. Il Regno Unito… non è pervenuto.

Il Parlamento europeo, riunito in plenaria il 18 maggio, ha approvato una risoluzione in cui richiama con forza i governi a fare la loro parte; indica alla Commissione di considerare l’attivazione di procedure d’infrazione contro i Paesi recalcitranti; sottolinea che le misure di ricollocazione devono essere prorogate fino alla riforma del sistema d’asilo (“Dublino”).

Resta il fatto che l’Italia su questo versante è ampiamente in credito verso l’Ue mentre all’interno del Belpaese governo, prefetture, comuni, volontariato e parrocchie devono fare i salti mortali per porgere la mano a chi ne ha bisogno. La solidarietà, che è alla base dell’Ue, tornerà a concretizzarsi nel Vecchio continente? Oppure essa vale solo quando c’è da portare a casa i Fondi strutturali tratti dal bilancio comunitario?

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