Sono passati 32 anni da quel 29 agosto 1991 quando la mano armata di Cosa Nostra ha ucciso Libero Grassi
Antiracket, il 29 agosto 1991 la mafia uccide Libero Grassi
Un imprenditore a testa alta che decise di non pagare il pizzo alla mafia: un sacrificio che segnò un'epoca
di Redazione Web
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Sono passati 32 anni da quel 29 agosto 1991 quando la mano armata di Cosa Nostra ha ucciso Libero Grassi. Un imprenditore a testa alta che decise di non pagare il pizzo alla mafia: un sacrificio che segnò un'epoca.
Libero Grassi, imprenditore a testa alta contro il pizzo
«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia».
Era il 10 gennaio del 1991. L’imprenditore Libero Grassi, attraverso una lettera inviata al Giornale di Sicilia alzava la testa contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza di Cosa nostra. Un atto rivoluzionario in una Sicilia in cui pochi imprenditori avevano il coraggio di denunciare il racket.
La storica puntata di Samarcanda
«Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore. Io non pago perché non voglio dividere le mie scelte con i mafiosi», così rispose Libero, durante la famosa intervista a Samarcanda (Rai Tre), alla domanda di Michele Santoro: «Ma perché lei non paga? Pagano tutti». Era l’11 aprile del 1991.
In quella circostanza non mancarono anche le sue considerazioni sulla “qualità del consenso” restano ancora attuali e investono trasversalmente tante forze politiche: «A una cattiva raccolta di voti corrispondono cattive leggi e cattiva democrazia».
Le parole di Libero Grassi, a trentadue anni dalla quella storica intervista, restano ancora un monito attuale che richiama la politica a una selezione dei candidati che, oltre a essere scevra da clientele e pratiche di voto di scambio, sia improntata alla capacità, alla trasparenza, alla credibilità e all’onestà.
Il 29 agosto 1991, una data che segnò un'epoca
Un coraggio che Grassi pagherà con la propria vita qualche mese dopo; il 29 agosto infatti, alle sette e mezza del mattino, in una Palermo ancora avvolta dalla calura estiva, mentre a piedi si stava recando al lavoro viene affrontato da un killer che gli scarica 4 colpi di pistola uccidendolo.
Cosa nostra in questo modo punirà chi, apertamente e pubblicamente, aveva avuto l’ardire di ribellarsi, di tentare di liberarsi dal cappio stretto attorno alle aziende siciliane.
«Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui», scriverà nella missiva indirizzata al Giornale di Sicilia.
Preziosa la sua collaborazione per individuare gli estorsori, i fratelli Avitabile, temibili esattori della famiglia Madonia di Resuttana.
Grassi denunciò il suo isolamento; dopo la lettera si sentì solo, avvertì la mancata vicinanza di Sicindustria. Oramai vulnerabile fu bersaglio facile per la mafia. Autori e mandanti furono poi individuati; a premere il grilletto Salvino Madonia, figlio del boss di Resuttana, ma il via libera al suo omicidio fu deliberato dall’intera Cupola.
Nasce una cultura antiracket: il lento "passaggio" dalla Sicilia alla Calabria
La sua morte, come accaduto altre volte in Sicilia con il sacrificio di altri eroi civili, contribuì a dotare l’Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi; nello specifico al varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione.
Un sacrificio che non è risultato vano, una morte che ha scosso le coscienze e convinto molti imprenditori allora come oggi, a distanza di 32 anni esatti, a denunciare il pizzo.
Una delle regioni del Mezzogiorno che ebbe maggiori "resistenze" nell'accogliere la rivoluzione ideale di Libero Grassi fu proprio la Calabria. Il primo movimento antiracket, infatti, nacque solo nel 2010, cioè 19 anni dopo, con ReggioLiberaReggio.
L'associazione che fa riferimento a Libera ha mosso i primi passi. Dodici anni dopo, nel 2022, è finalmente sorta la sezione reggina della Federazione nazionale delle Associazioni antiracket e antiusura italiane, la Fai in un periodo storico in cui - per la prima volta - alcuni importanti imprenditori di Reggio Calabria hanno iniziato a denunciare il sistema ndranghetistico.
Ecco la puntata di oggi del percorso Podcast intrapreso dall’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone.
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