Avvenire di Calabria

Alessandro Cartisano, presidente di Abakhi, ripercorre i tre anni di lavoro che hanno portato all'inaugurazione di oggi

Apre, oggi, «La Casa di Benedetta» per i minori in difficoltà

Federico Minniti

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Tra qualche minuto aprirà i battenti - in modo ufficiale - "La Casa di Benedetta", struttura di accoglienza per minori in difficoltà a Reggio Calabria. Una giornata importante per l'associazione "Abakhi" che porta avanti questo sogno da ormai tre anni. Ne abbiamo parlato col presidente dell'organizzazione di volontariato reggina, Alessandro Cartisano.

Da dove parte questo progetto?
Parte dall'esperienza che l'associazione Abakhi ha fatto coi minori, sin dalla sua nascita e che continua a vederla impegnata. Ci siamo accorti che la comunità dei minori ha bisogno di un'attenzione in più specialmente a Reggio Calabria, specialmente mantendo uno stile di prossimità autentica nel servizio come è nel nostro stile. La struttura ci è stata affidata, attraverso un comodato d'uso gratuito, dai Padri monfortani: oggi, dopo tre anni di duro lavoro, dove tanti di noi si sono sporcati le mani, raggiungiamo un grande risultato.
 
Perché questa struttura si chiama "La Casa di Benedetta"?
Abbiamo voluto ricordare Benedetta Nieddu del Rio, un'adolescente reggina scomparsa pochi anni fa. I suoi genitori hanno deciso di creare una Fondazione che, da subito, ha sposato la nostra idea. Anzi, possiamo dire che è una vera e propria co-progettazione sociale che è riuscita a trovare una sintesi perfetta.
 
Quali saranno i servizi erogati?
Oltre all'accoglienza di tipo "standard" che potremmo definirla di «vitto e alloggio» per i minori in difficoltà, la nostra idea è quella di rendere i ragazzi protagonisti dei loro talenti. Per questo svilupperemo diversi laboratori, come il forno a legna o l'orto sociale.
 
Guardando indietro, come si è arrivati all'apertura di oggi?
Potrei dire che centinaia di persone ci hanno sostenuto, da Fondazioni ad associazioni, molte delle quali che non sono neanche di Reggio Calabria. Ma penso a tantissime persone che individualmente si sono fidate del nostro lavoro e ci hanno supportato economicamente. Insomma c'è stata una vera e propria adozione di comunità a un progetto che non è di Abakhi, ma della collettività.

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