Avvenire di Calabria

Ha celebrato padre Sergej Tikhonov vice parroco della chiesa ortodossa di Reggio Calabria

Arghillà, celebrata in carcere la Pasqua ortodossa

Nel penitenziario a nord della città sono presenti tanti cristiani di rito orientale

di Laura Venniro

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Domenica 16 aprile, nei locali della biblioteca della casa circondariale di Reggio Calabria plesso di Arghillà, si è tenuta la celebrazione della Divina liturgia in occasione della Pasqua ortodossa, che quest’anno è caduta nella domenica successiva alla Pasqua cattolica.

Il sacerdote celebrante è stato padre Sergej Tikhonov, vice parroco della chiesa ortodossa di San Paolo dei Greci di Reggio Calabria. L’idea di questa iniziativa è sorta spontanea dal momento che il plesso di Arghillà ospita, tra i propri detenuti, un’importante percentuale di fedeli ortodossi. Padre Sergej ha iniziato il suo servizio di ministro di culto per la popolazione detenuta di fede ortodossa dal primo aprile di quest’anno.


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I detenuti ortodossi appartengono a varie nazionalità dell’Europa orientale, ma hanno in comune due elementi: la fede religiosa e la lingua, cioè il russo, che costituisce l’idioma condiviso da varie popolazioni che vivono dai confini dell’Europa dell’est fino all’Oceano Pacifico.

Padre Sergej, sacerdote appartenente al clero della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, essendo nativo di Mosca, rappresenta per questi detenuti non solo un sostegno spirituale e una guida religiosa, ma anche un particolare conforto umano, perché parlando la loro lingua e conoscendo le loro tradizioni culturali può porre un argine a quella grande sofferenza generata dalla reclusione e che per questi detenuti è ancora più intensa, ritrovandosi a scontare una pena in un paese straniero e quindi in un ambiente estraneo e lontanissimo dagli affetti familiari.

A rendere possibile la celebrazione liturgica la disponibilità di coloro che si prodigano quotidianamente all’interno del carcere rendendo migliori le condizioni di vita dei detenuti. Tra questi, padre Carlo Cuccomarino, cappellano dell’Istituto penitenziario, che ha informato padre Sergej della presenza di fedeli ortodossi, adoperandosi con tutti i suoi mezzi perché potesse iniziare al più presto il suo servizio volto a garantire ai reclusi il proprio diritto a professare la propria fede religiosa e praticarne il culto. Il direttore reggente del carcere, il dottor Giuseppe Carrà, con prontezza ed entusiasmo ha sostenuto l’iniziativa della Pasqua ortodossa, concedendo tutte le autorizzazioni con considerevole celerità. 

Insieme a lui si sono prodigati anche gli altri funzionari dell’amministrazione carceraria: il dottor Domenico Speranza, capo area trattamentale giuridico-pedagogica; la dottoressa Maria Luisa Alessi, comandante dirigente aggiunto; il sostituto commissario coordinatore Daniele Piras, le educatrici e tutti gli agenti della polizia penitenziaria. Durante la celebrazione è stato usato un prezioso calice liturgico di inizio XX secolo di produzione slava appartenente, messo a disposizione con generosità da Lucia Lojacono, direttore del Museo diocesano “Sorrentino”. L’iniziativa della Pasqua ortodossa è stata accolta dalla popolazione detenuta con grande entusiasmo.


PER APPROFONDIRE: Cinquanta giorni dopo la Pasqua, sette settimane vissute come un solo giorno di festa


Vi hanno preso parte più di trenta persone. La celebrazione si è svolta in un clima di grande solennità: l’atmosfera carica di emozione, l’atteggiamento contegnoso dei detenuti e la gioia nei loro occhi testimoniavano l’appagamento di una esigenza molto sentita. Talmente era forte il desiderio di avere un proprio ministro di culto che, non pochi detenuti, al termine della celebrazione, sono rimasti a conversare e scambiare gli auguri con padre Sergej. Queste le parole del presbitero congedandosi dall’incontro coi detenuti: «Qui c’è tanta sete spirituale, c’è davvero un gran bisogno di solidarietà umana, ma nulla accade per caso e se sono qui significa che Dio vuole usarmi come strumento per cercare di lenire le ferite di questi Suoi figli».

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