Avvenire di Calabria

Nuovo appuntamento con la rubrica "Appunti di Dottrina sociale" a cura del professor Domenico Marino dell'Università Mediterranea

Autonomia differenziata, «culla» delle disparità

Su questa uscita, l'accademico reggino approfondisce il provvedimento relativo al "federalismo fiscale" inserito nell'ultima Manovra finanziaria

di Domenico Marino

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Autonomia differenziata, «culla» delle disparità. Nuovo appuntamento con la rubrica "Appunti di Dottrina sociale" a cura del professor Domenico Marino dell'Università Mediterranea. Su questa uscita, l'accademico reggino approfondisce il provvedimento relativo al "federalismo fiscale" inserito nell'ultima Manovra finanziaria.

Autonomia differenziata, «culla» delle disparità

Il federalismo fiscale e il trasferimento di competenze, sia fra Stato e Regione, sia fra Regione ed Enti Locali fa parte di questo approccio che trova la sua giustificazione nell’applicazione del principio di sussidiarietà e nella conseguente necessità di risolvere i problemi al più basso livello possibile. Questo processo non è scevro di problemi perché molto spesso i trade-off fra dimensione ed efficienza diventano rilevanti e il conflitto di competenze, se non correttamente gestito, rischia di diventare poco efficiente o di creare distorsioni e divari territoriali molto forti sia di tipo economico, sia nella dotazione di servizi pubblici.

Il nostro paese è cronicamente afflitto da forti differenze di gettito, di Pil, di LEA e di LEP tra le varie regioni d’Italia. Ciò significa che le diseguaglianze nella distribuzione territoriale della ricchezza, del reddito e dei servizi di fatto creano delle differenze insostenibili e inique. Il federalismo fiscale per essere efficace deve avere un forte componente perequativa e deve garantire l’interesse nazionale di alcuni servizi.


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Quello che abbiamo sperimentato dopo il 2001 è un federalismo monco, che ha funzionato poco e la cui riforma attraverso il cosiddetto federalismo differenziato risulterebbe ancor più penalizzante per le regioni meridionali e per la Calabria. L’analisi degli effetti della pandemia ci porta a trarre una lezione importante in relazione al processo di federalismo e, cioè, quella del fallimento del perverso modello di governance denominato federalismo differenziato. È la stessa idea di federalismo che va rivista e depurata da tutte le incrostazioni che negli ultimi anni si sono accumulate a seguito degli incoerenti interventi legislativi fatti dai diversi governi che per inseguire il consenso dimenticavano di valutare gli effetti delle loro scelte. Dopo quasi 20 anni occorre ripensare il modello del regionalismo italiano e soprattutto correggere alcune anomalie nate dalla riforma del titolo V della Costituzione.

La vera differenza fra il Trentino e la Calabria non sta tanto nei poteri, ma nella capacità di gestire l’autonomia in maniera efficiente ed efficace. Il Trentino utilizzando i poteri che derivavano dall’autonomia ha creato casi di successo, ha infrastrutturato il territorio, ha migliorato i servizi. In Calabria l’autonomia ha prodotto una regione elefantiaca e sprecona che ha disperso in mille rivoli clientelari le risorse che avrebbero dovuto servire allo sviluppo. Sono state progettate politiche di piccolo cabotaggio, prive di spunti innovativi. La latitanza delle istituzioni e il drammatico fallimento di tutte le politiche di sviluppo hanno dato fiato e potere a tutto un sottobosco politico-clientelare che ha barattato il consenso con la promessa di uno sviluppo assistito, che si manifestava in una pioggia di finanziamenti non inseriti in alcun progetto serio ed organico di sviluppo e che non faceva altro che inseguire le emergenze, non per risolverle, bensì per perpetuarle.

Le politiche di troppi governi hanno di fatto messo in crisi il concetto stesso di stato nazionale, abbandonando di fatto il concetto di perequazione che in sostanza è il meccanismo che permette una redistribuzione delle risorse dalle regioni con più alto Pil pro-capite verso quelle con un Pil pro-capite più basso, con lo scopo di mantenere un livello di servizi comparabile fra le diverse aree del paese. In questo modo di sono create regioni di serie A e regioni di serie B, dove i diritti fondamentali degli individui sono soddisfatti in maniera diseguale. Questo processo ha coinciso con la scomparsa del Mezzogiorno dall’agenda politica nazionale, il tutto condito spesso da una becera retorica antimeridionale.


PER APPROFONDIRE: Lavoro a Reggio Calabria, l’intervento di Rosi Perrone (Cisl): «Non ci sono più alibi»


Federalismo solidale significa, invece, compartecipazione delle risorse, aiuto alle regioni più deboli, garanzia di Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) sostanzialmente omogenei fra le regioni. Il federalismo solidale ha bisogno di uno stato centrale forte ed efficiente, non di uno stato centrale debole e svuotato di competenze come vorrebbe il progetto di autonomia differenziata. L’attuazione di un federalismo solidale non esclude che le regioni più efficienti possano avere più risorse, ma queste devono derivare dal minor costo dei servizi ottenuti attraverso il recupero di efficienza rispetto ai costi standard.  

Non si può mettere in alcun caso in dubbio il principio perequativo che costituisce il senso ultimo di essere uno stato nazionale. Senza perequazione il principio dell’uguaglianza dei cittadini viene seriamente messo in crisi in una misura ancora più drammatica di quanto non sia fatto già oggi, ad esempio in campo sanitario, a causa di una sanità diseguale, con la istituzionalizzazione della classe dei cittadini e delle regioni di serie A e di serie B.

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