Avvenire di Calabria

Prosegue il progetto "Time to Change” con Stefano Guindani che è volato nel Chalbi dove si distende un’arida pianura di sassi e polvere

Banca Generali investe sul futuro delle tribù che vivono nel deserto del Kenya

Stazioni metereologiche, assistenza sanitaria e investimenti culturali: queste le tre dimensioni dell'impegno di Banca Generali in Africa

di Redazione Web

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È il tempo di cambiare: così si chiama il progetto di Banca Generali che si sta occupando di sviluppo sostenibile nei paesi africani tra cui Chalbi, area del deserto del Kenya, dove vivono alcune tribù.

Kenya, il progetto di Banca Generali nel deserto

Nell’estremo nord del Kenya, il deserto del Chalbi si distende in un’arida pianura di sassi e polvere. Nonostante sia una delle zone più inospitali di tutta l’Africa, alcune tribù locali hanno costituito un piccolo centro abitato chiamato North Horr. Ed è proprio da qui che riparte il viaggio di “BG4SDGs – Time to Change”. Stefano Guindani è infatti volato in Kenya per il sesto appuntamento del progetto sviluppato in collaborazione con Banca Generali per raccontare lo stato dell’arte dell’Agenda Onu 2030.


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In particolare, l’obiettivo del fotografo si è posato sul Sustainable Development Goal numero 17: “Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile”. Un obiettivo tanto complesso quanto sfidante, che raccoglie al suo interno l’essenza di tutti gli altri 16 SDGs dal momento che solo dalla cooperazione internazionale può scaturire quella vera e propria rivoluzione sostenibile auspicata negli accordi di Parigi del 2015.

E tra gli esempi di cooperazione internazionale più efficaci, quello in corso a North Horr è uno dei più emblematici. Questo villaggio è infatti abitato principalmente da nomadi delle tribù di etnia Gabra che vivono quasi esclusivamente di pastorizia. Eppure il clima inospitale sta portando alla morte di un numero sempre maggiore di animali, tanto da rendere ogni giorno più precario il futuro di una intera comunità. Colpa del cambiamento climatico che sta rendendo rarissime le precipitazioni, riducendo così al minimo la presenza di acqua per sviluppare sia la vita umana che quella animale.

«Ho incontrato un’antica tribù keniana, i Gabra, che vive seguendo le tradizioni ma che prova a stare anche al passo con il mondo moderno, ottimizzando la tecnologia e le conoscenze anche di altri gruppi al fine di creare una partnership finalizzata a migliorare la qualità della vita delle persone che vivono, o a volte sopravvivono, una zona molto inospitale e che i cambiamenti climatici stanno rendendo sempre più difficile da abitare» ha dichiarato Stefano Guindani, fotografo e autore del progetto “BG4SDGs – Time to Change” .

In questo complicato contesto, Amref ha dato vita a “Heal”, un progetto che punta a cambiare radicalmente il rapporto di interdipendenza tra uomo e ambiente. Sfruttando la propria presenza transnazionale, l’associazione sta incoraggiando un processo che coinvolge Paesi, organizzazioni ed esperti, traghettando North Horr verso soluzioni di sviluppo sostenibile.

Uno dei cardini di “Heal” è legato all’adozione di una piattaforma multiutente d’innovazione finalizzata a prevenire i rischi meteorologici. Per alimentarla, l’associazione ha chiesto ai leader della società pastorale, al personale di progetto nelle Ong operative nell’area e ad altri soggetti come scienziati e ricercatori che gravitano nella zona di indossare sensori atti a tracciare ciò che succede nell’ambiente circostante.


PER APPROFONDIRE: Uguaglianza di genere, Banca Generali premiata


Una serie di stazioni meteorologiche analizzano quindi in tempo reale i dati raccolti che, attraverso i responsabili di progetto, vengono spiegati ai pastori. In questo modo, i pastori possono gestire più responsabilmente il proprio bestiame, preservandolo al meglio nel difficile contesto circostante. Oltre a questo, il progetto “Heal” ha già portato a North Horr un presidio permanente di assistenza sanitaria per rispondere con efficacia alle varie problematiche di salute che interessano le popolazioni locali: dal parto alla denutrizione infantile, dalle malattie agli infortuni dei nomadi. C’è poi una terza dimensione su cui il progetto si focalizza ed è quella culturale, per sfruttare la conoscenza odierna al fine di superare usanze e superstizioni che in questa zona di mondo si tramandano da secoli.

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