Avvenire di Calabria

Al Grande ospedale metropolitano nasce un nuovo reparto che accompagna la donna in un percorso sanitario articolato e complesso

«Così diciamo stop all’emigrazione sanitaria»

La Breast Unit in poco tempo è diventato un punto di riferimento per il trattamento e la cura delle patologie mammarie

di Redazione Web

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È un reparto a misura di donna quello recentemente aperto al terzo piano della torre “M” del presidio “Riuniti” del Grande Ospedale Metropolitano: la Breast Unit rappresenta un’assoluta novità per la sanità di Reggio Calabria nell’accompagnamento delle donne, ma anche per contrastare l’emigrazione sanitaria legata alle patologie mammarie.


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Il dottor Salvatore Costarella, direttore sanitario del Gom e guida dell’Unità Operativa di Chirurgia a cui afferisce la nuova realtà, ci accompagna in questo nuovo percorso avviato poco più di un mese fa.

📽Il viaggio all'interno della Breast Unit del Gom di Reggio Calabria. Guarda il video 👇

Dottor Costarella ci può parlare di questo nuovo reparto?

La Breast Unit è un’unità operativa che l’Azienda ospedaliera ha inteso organizzare per favorire e privilegiare il percorso delle malattie oncologiche della mammella. All’interno di questa struttura, che è dotata di attrezzature tecnologiche di ultima generazione, operano diversi specialisti.

Con quali vantaggi?

Col vantaggio che la paziente che ha un problema oncologico della mammella trova tutte le risposte necessarie affinché venga predisposto un piano diagnostico terapeutico. La paziente viene presa letteralmente per mano e accompagnata amorevolmente attraverso tutti quelli che sono i vari step legati alla patologia. Dalla fase diagnostica iniziale, alla biopsia, all’inquadramento diagnostico multidisciplinare attraverso una collaborazione con radioterapisti, oncologi, genetisti, chirurghi 

Insomma, viene garantito tutto il percorso.

Una volta che la paziente entra nel percorso della Brest, sarà cura degli operatori procedere in maniera rapidissima a fare tutto ciò che è necessario per la diagnosi e l’inquadramento di questa terapia. Ciò comporta che in un tempo brevissimo, riusciamo a concludere un piano diagnostico terapeutico anche nell’arco di dieci, massimo, quindici giorni.

Una realtà che mancava, pur esistendo nei fatti. La novità sta nell’aver messo insieme diverse eccellenze a quanto pare.

È proprio così. Nei fatti, il percorso diagnostico terapeutico che già esisteva in ospedale oggi ha una “casa”. Questo aiuta ad evitare che la paziente debba spostarsi da un reparto all’altro. Chiaramente saranno necessarie altre integrazioni diagnostiche come la mammo- risonanza che presto si farà per esempio in radiologia.

Tutto ciò che ricadute ha per la sanità territoriale?

Dare la possibilità di poter accedere ad un percorso diagnostico terapeutico completo nell’ambito della cura delle malattie oncologiche della mammella, contribuisce senza dubbio a contenere l’emigrazione sanitaria. La paziente che si reca al Gom, all’interno di questa struttura, trova tutte ogni tipo di risposta senza ostacoli che si frappongono alla diagnosi e alla cura.

Qual è l’altro punto di forza di questa “nuova” realtà?

Il fatto che vi operi un’equipe “rosa”, in prevalenza composta da donne, capace di entrare in sintonia e empatia con le nostre pazienti. In questo percorso, inoltre, ci aiutano molto le associazioni di volontariato. Presenti quotidianamente all’interno della Breast danno un sopporto significativo anche nell’assistenza a tutte le altre donne che si rivolgono a noi.

Relazione, primo approccio terapeutico

È un’equipe costituita in prevalenza da medici e sanitari donne quello che opera all’interno del reparto multidisciplinare Breast Unit del Gom. Ogni giorno dedicano la propria professionalità e umanità alla lotta contro il cancro al seno. Insieme alla diagnosi e alla cura, infatti, offrono sostegno e fiducia alle pazienti che si trovano a dover attraversare uno dei momenti più delicati della loro esistenza.


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Dalle loro testimonianze, si coglie l’essenza del rapporto speciale che si crea tra medico e paziente in questo percorso di cura e speranza. «La nostra missione inizia con una prima visita specialistica, durante la quale stabiliamo già un primo contatto diretto con la paziente, necessario per affrontare tutte le fasi previste dal percorso diagnostico», spiega la dottoressa Mariagiovanna Notarangelo, senologa.


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«Si crea un rapporto di confidenza unico, in quanto vieni vista come un punto di riferimento. Un’empatia che si trasforma in legame affettivo anche nella fase di follow up, quindi a distanza di anni dall’intervento». Del resto, è la testimonianza della dottoressa Carmela Falcone, radiologa, «l’empatia gioca un ruolo cruciale, specialmente quando le pazienti si avvicinano a noi spaventate o preoccupate. Cerchiamo di trasmettere tranquillità e sicurezza, sottolineando sempre che la prevenzione è l’arma più potente a nostra disposizione. Il fatto di essere in gran parte donne che si relazionano con altre donne, facilita senza alcun dubbio il rapporto».

«Le pazienti si affidano a noi per esami di alta precisione come la linfoscintigrafia durante interventi chirurgici o per la stadiazione della malattia e sono molto spaventate», afferma la dottoressa Soccorsa Morano, medico di medicina nucleare, per questo, aggiunge, «cerchiamo di entrare in empatia con loro, per tranquillizzarle e sostenerle. A supportarci anche i tecnici di radiologia e gli infermieri che accolgono con umanità ogni paziente».

Un aspetto, quello dell’umanizzazione della cura e dell’assistenza dei pazienti, ad evidenziare il quale è anche la dottoressa Anna Marchione, radioterapista in supporto alla Breast Unit del Grande ospedale metropolitano reggino.

«La prima domanda che le pazienti mi pongono è: “dottoressa posso stare tranquilla?”. È chiaro aggiunge - che siamo fra donne e siamo chiamate a trasmettere assoluta tranquillità anche di fronte alle situazioni più difficili. Ma è un aspetto fondamentale per assicurare maggiori chance di successo nella cura della patologia. Io credo molto in questo», è ancora la testimonianza della dottoressa Marchione che aggiunge: «le pazienti arrivano da noi spaventate, per poi finire la terapia con l’abbraccio, la riconoscenza e una persona amica in più.

Tante quelle che ho incontrato in questo percorso con cui abbiamo continuato a mantenere rapporti non solo dal punto di vista professionale, ma soprattutto umano».

La paziente, Maria: «Qui è come una famiglia»

Maria De Francesco ha 59 anni. Ha scoperto di avere un cancro l’estate dello scorso anno. «Era luglio 2023», racconta. «Ancora questo reparto non esisteva. «Ho iniziato un percorso e, nonostante le possibili difficoltà provocate dalla malattia e della mia condizione, so dove potermi rivolgere, in qualunque momento della giornata».

Qui, continua Francesca, «ho incontrato tanti bravi medici e infermieri. È una famiglia unita fatta di tanta umanità». C’è tanta commozione negli occhi e nella parole della paziente. Fin dal primo giorno, ha avuto tanta assistenza e anche tanto amore. Questo tra i motivi, «per cui ho deciso di rimanere a curarmi a Reggio e non altrove. Ho una sorella a Milano che aveva già parlato perché seguissi un percorso terapeutico presso una nota struttura sanitaria che tratta le patologie tumorali come la mia».


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Insieme a questo, l’altro punto di forza - conclude Francesca - è la presenza tra i camici bianchi in prevalenza di donne. Le donne, alla fine, ti capiscono di più. Nella relazione tra noi pazienti e medici, c’è infatti tanta complicità. Abbiamo un comune obiettivo: sconfiggere quanto ci fa più male. È questa la sfida che ci lega».

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