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In Calabria l’abbandono di aree antropizzate accentua la percentuale di calamità naturali. Sul tema abbiamo intervistato Antonino Siclari responsabile della difesa del suolo per la Metrocity il quale auspica meno divisioni e un fronte comune tra enti.
La Calabria è una delle regioni italiane più esposte ai rischi idrogeologici, una fragilità aggravata dai cambiamenti climatici. Eventi atmosferici estremi, come quelli recenti in Emilia Romagna, rendono urgente la necessità di interventi strutturali e prevenzione per limitare i danni. Le aree più a rischio sono minacciate da frane e inondazioni, che mettono in pericolo migliaia di persone, attività economiche e beni culturali.
Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), 280.000 abitanti sono esposti al rischio alluvione, mentre le frane minacciano 64.962 persone. La piattaforma IdroGeo dell’Ispra conferma che la Calabria ha tra i più alti rischi alluvionali in Italia, con le province di Crotone e Reggio Calabria tra le più vulnerabili. In particolare, le aree ad alto rischio alluvionale coinvolgono 236.707 persone, il 12,1% della popolazione. Crotone è la provincia più esposta, con il 17,9% della popolazione a rischio medio di alluvione, con un impatto significativo su abitazioni, imprese e beni culturali. Anche sul fronte frane la situazione è preoccupante. Le frane ad elevata pericolosità coinvolgono oltre 36mila abitanti.
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Antonino Siclari, responsabile del servizio difesa del suolo della Città metropolitana di Reggio Calabria, ci parla delle criticità legate al dissesto idrogeologico in Calabria e nel reggino in particolare e del ruolo delle istituzioni nella gestione del territorio. Ecco l'intervista rilasciata al nostro settimanale.
Il dissesto idrogeologico nel nostro territorio è il risultato di una combinazione di fattori naturali e antropici. Le caratteristiche geologiche dell’Aspromonte, con i suoi pendii ripidi e l’erosione naturale, rappresentano un rischio intrinseco. Tuttavia, il problema diventa più grave quando le aree antropizzate, come i terrazzamenti della Costa Viola o le aree coltivate nell’entroterra, vengono abbandonate. Questi terrazzamenti, che per secoli hanno contribuito a stabilizzare il suolo, senza manutenzione si trasformano in punti deboli, predisposti a cedere e causare frane e smottamenti. La mancanza di manutenzione delle infrastrutture idrauliche, delle strade e dei canali di scolo aggrava ulteriormente la situazione. Il problema nasce dal deterioramento delle opere umane e si intreccia con i rischi naturali sempre presenti, come le piogge intense e gli incendi, che indeboliscono ulteriormente il territorio, rendendo più difficile prevenire i dissesti.
La prevenzione passa innanzitutto attraverso una manutenzione regolare delle opere esistenti. Ogni infrastruttura realizzata dall’uomo, se trascurata, può trasformarsi in un rischio per il territorio circostante. Sebbene la normativa preveda piani di manutenzione quinquennali o decennali, spesso non vengono applicati correttamente. Un esempio è la gestione delle acque per le strade su costoni, un tempo affidata ai cantonieri, che rimuovevano pietre e pulivano i canali di scolo. Oggi, con la meccanizzazione, questi lavori sono considerati antieconomici e non vengono più eseguiti con la stessa frequenza. Anche con tecnologie più avanzate, la mancanza di manutenzione ordinaria rende vulnerabili infrastrutture che altrimenti potrebbero durare molto più a lungo.
Gli enti locali hanno un ruolo cruciale nella gestione del territorio, ad esempio, prima della Legge Del Rio (L. 56/2014), l’allora Provincia di Reggio Calabria beneficiava di specifici finanziamenti regionali finalizzati alla manutenzione ordinaria e l’attuazione dei piani di prevenzione nell’ambito della difesa del suolo, adesso la Città Metropolitana, sempre nell’ambito della difesa, può solo prevedere interventi di manutenzione straordinaria previa predisposizione di specifica progettazione per la successiva richiesta di fondi negli specifici canali di finanziamento nazionali. Le istituzioni più vicine al territorio dovrebbero essere le prime a intervenire per evitare situazioni di emergenza. Tuttavia, emerge la necessità di una stretta collaborazione con la Regione Calabria e il governo centrale per coordinare interventi più ampi e per garantire un uso efficace delle risorse.
Uno dei problemi principali è la frammentazione delle competenze. In Italia, abbiamo una sovrapposizione di responsabilità tra diversi enti, che rende difficile prendere decisioni rapide ed efficaci. Anche quando i fondi ci sono – grazie a strumenti come il PNRR, il FESR e altri – spesso manca una progettualità adeguata o c’è difficoltà a spenderli entro i tempi stabiliti. Spesso per approvare un progetto si impiegano tempi lunghissimi, durante i quali la situazione del territorio può peggiorare.
Se fossi io Presidente del Consiglio dei Mini-stri, darei ai commissari regionali pieno potere decisionale, con l’obbligo di valutare i vincoli territoriali prima dell’affidamento della progettazione a professionisti che hanno specifiche competenze sulla gestione dei vincoli, soprattutto ambientali. Formerei un gruppo di professionisti competenti per approvare e realizzare i progetti entro tempi certi: sei mesi per la progettazione, due mesi per l’appalto e massimo due anni per la conclusione. Oggi i processi sono troppo lenti e, quando i progetti vengono finalmente approvati, le condizioni del territorio o i costi sono già cambiati. Semplificare e accelerare il sistema è la chiave per superare queste difficoltà.
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