Avvenire di Calabria

Che vita c'è dietro le sbarre? Proviamo a capirlo col cappellano del carcere di Reggio Calabria

Persone, non i loro reati: il cappellano racconta la vita in carcere

Con padre Carlo Cuccomarino capiremo le storie di sofferenza e liberazione vissute in cella

di Federico Minniti

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Che vita c'è dietro le sbarre? Proviamo a capirlo col cappellano del carcere di Reggio Calabria. Con padre Carlo Cuccomarino capiremo le storie di sofferenza e liberazione vissute in cella.

Il cappellano di Reggio Calabria ci racconta l'esperienza in carcere

Padre Carlo Cuccomarino è il cappellano delle carceri di Reggio Calabria. Con lui abbiamo parlato della vita dentro gli Istituti di pena, dove le fragilità umane cercano conforto nella fede tracciando nuovi percorsi di liberazione.

Il carcere è una città dentro la città. Ci appare doveroso chiedere che clima sta attraversando l’istituto di pena in questo tempo?

In questi ultimi mesi purtroppo si sono verificati alcuni eventi di violenza sia tra detenuti sia qualche aggressione nei confronti della Polizia Penitenziaria. Per i detenuti il periodo estivo è sempre molto critico e si spera che con la ripresa delle attività trattamentali compresa la scuola possa tornare un clima più sereno.


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La sua missione da cappellano è costantemente ripiegata sulle fragilità delle donne e degli uomini che incontra. Come viene accolta dai detenuti la Parola di Dio e la presenza di un suo ministro?

In carcere dove si vive una vita essenziale a causa di diverse ristrettezze molti detenuti vengono a contatto con la Parola di Dio che viene proposta sia nella catechesi sia nella celebrazione eucaristica. Sicuramente in essa trovano motivo di consolazione e di speranza perché non si sentono giudicati.

La figura del cappellano come anche quella dei volontari è molto apprezzata e ben vista da quasi la totalità della popolazione detenuta compresi anche i detenuti stranieri che vedono in essi persone di fiducia e figure di riferimento. Personalmente sono molto soddisfatto come uomo e come sacerdote di tante attestazioni di riconoscenza da parte di molti detenuti per l’operato che giornalmente svolgo insieme ai volontari.

Le fragilità sono tante e sono quelle presenti nella società di oggi ma sappiamo benissimo che la misericordia di Dio guarisce ogni ferita anche la più penosa. Bisogna crederci!


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C’è stata qualche iniziativa o qualche episodio in quest’ultimo periodo che l’ha colpita particolarmente? Ce lo vuole raccontare?

Qualche settimana fa sono stato avvicinato da una dottoressa dell’area sanitaria che mi ha segnalato il caso di un ragazzo di colore arrestato a Lampedusa a metà luglio e tradotto qui ad Arghillà. Non aveva più notizie di sua moglie dalla quale era stato diviso a causa dell’arresto. La moglie era al nono mese di gravidanza.

Dopo una serie di ricerche non certo facili sono riuscito a trovare la donna. Era come trovare un ago nel pagliaio con le migliaia di immigrati che si trovano a Lampedusa. Ebbene la moglie del detenuto attualmente si trova in una Comunità di accoglienza ad Agrigento e nel frattempo ha dato alla luce una bellissima bimba che ora ha due mesi e mezzo.

La gioia incontenibile del detenuto è stata la mia gioia e sono certo che quando si fa il bene gratuitamente solo per amore noi siamo i primi a ricevere i benefici di quel bene praticato. Questo l’ho sperimentato in carcere.

In che modo la Chiesa può farsi ulteriormente prossima agli Istituti di pena del territorio?

Il carcere non è soltanto un luogo fisico fatto di sbarre e di restrizioni. In questo luogo vivono persone ciascuno con il proprio passato, la propria storia, i propri affetti familiari. Vivono persone con sogni di una vita nuova e diversa che nessuno ha il diritto di spegnere.

In carcere c’è una chiesa fatta di tanti cristiani che fanno un regolare cammino di fede per trovare un vero senso della vita che solo la verità del Vangelo può dare. Una cosa che fa male è il pregiudizio che la gente comune e molti cristiani hanno nei confronti di questi nostri fratelli e sorelle. Non dimentichiamo che il Dio dei cristiani si è fatto povero tra i poveri. Ultimo tra gli ultimi.


PER APPROFONDIRE: Carcere di San Pietro, piantato un albero alla memoria del giudice Borsellino


Come funzione la Pastorale carceraria?

La pastorale carceraria comprende la celebrazione della Santa Messa che viene celebrata ogni settimana in tutti i reparti detentivi anche nel periodo estivo, la catechesi settimanale, il cineforum, un’attività di musi-canto. Una particolare attenzione viene riservata all’ascolto di coloro che ne fanno richiesta, alle confessioni e al servizio della carità verso i detenuti indigenti.

Un vivo ringraziamento lo esprimo ai volontari che mi aiutano con grande dedizione nella pastorale carceraria, alla Direzione e a tutti gli operatori penitenziari con i quali collaboro per un fine ultimo che è quello di rendere la vita meno dura delle persone che si trovano in carcere con l’augurio che presto possano tornare nelle loro famiglie.

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