Avvenire di Calabria

Le Figlie della Chiesa ci aprono la porta della loro dimora. Una casa di spiritualità che da quindici anni ospita tanti pellegrini di Reggio Calabria

Un rifugio di spiritualità, la casa delle Figlie della Chiesa ad Arghillà Nord

La superiora boliviana, suor Norma: «Questa è una casa di spiritualità aperta a singoli e gruppi che vogliono ritrovare sé stessi e la via della fede»

di Federico Minniti

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Le Figlie della Chiesa ci aprono la porta della loro dimora. Una casa di spiritualità che da quindici anni ospita tanti pellegrini ad Arghillà Nord, quartiere periferico di Reggio Calabria.

Ad Arghillà la casa di spiritualità delle Figlie della Chiesa

Varcando il cancello della casa “Santa Maria Porto di Pace” nel quartiere di Arghillà Nord, a Reggio Calabria, si ha la sensazione di entrare in una dimensione “altra”. La pace non dà solo il nome a quel luogo, ma lo avvolge al pari delle correnti che si incanalano dallo Stretto che la casa delle Figlie della Chiesa sovrasta in un affaccio mozzafiato. Il resto lo fanno i sorrisi delle suore. Le religiose sono restie di primo acchito davanti a microfono e taccuino, ma - durante la mattinata trascorsa con loro sciolgono la loro riservatezza trasformandola nella saggia dolcezza delle sorelle maggiori.


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Il nostro racconto, probabilmente, è simile a quello dei tanti pellegrini che trovano rifugio in quella casa fuori porta che ha come missione principale quella di far incontrare il Vangelo alle persone. Un apostolato silenzioso, lontano dai fragori della cronaca, ma che costruisce mattoncino dopo mattoncino dei veri e propri percorsi di maturità spirituale.

La superiora della casa “Santa Maria Porto di Pace” arriva dalla Bolivia: ha già trascorso qualche anno a Roma e da poco più di dodici mesi è arrivata in riva allo Stretto. Si chiama suor Norma: «Questa è una casa di spiritualità aperta a singoli e gruppi che vogliono ritrovare sé stessi e la via della fede». Un’oasi di bellezza che permette una doppia formula: la totale autogestione dei gruppi (con un piano riservato) oppure la condivisione degli spazi con le suore.

Pacatezza e discrezione sono il tratto distintivo delle religiose e suor Norma lo rappresenta in modo inequivocabile. Più briosa, invece, è suor Bertilla. Vicentina di nascita, trentina nel cuore, dal profondo Nord è ormai in pianta stabile all’estremo opposto dello Stivale. Suora da sessant’anni, è sempre stata appassionata dei giovani: «In quelli di oggi - ci dice - vedo le stesse insicurezze e fragilità che avevo io».

Una presa di posizione che va contro i cliché stantii dei “giovani d’oggi”. «Se ripenso a quello che mi dicevano: “Ma tu, con quel carattere vuoi fare la suora?”. Ho sempre risposto: “Questo è affare mio e del Signore”. E devo dire che la vita mi ha ripagato tanto».

https://youtu.be/BSBVP_Tfru0

Con lei percorriamo i viottoli del giardino fino ad arrivare alla grande croce a strapiombo sulla collina: «La nostra fondatrice ha voluto che avessimo solo croci e non crocifissi, perché ciascuno di noi deve mettere il proprio corpo nelle mani della volontà di Dio».

Mentre percorriamo quell’angolo ricco di arbusti e piante ci racconta come «piccoli e grandi amano questo contatto con la natura, specialmente, adesso, dopo i due anni di chiusure varie legati al coronavirus».

La casa “Santa Maria Porto di Pace” è relativamente giovane: ha festeggiato le 15 primavere durante le quali sono stati in tantissimi gli ospiti-pellegrini, alcuni dei quali sono diventati amici delle suore vista la frequentazione assidua che ne ha caratterizzato gli incontri. «I nostri orari sono legati alla presenza di gruppi o singoli che condividono la casa di spiritualità» a spiegarcelo è suor Maria, religiosa col piglio simpatico della Puglia, sua terra d’origine.


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Ad Arghillà ci sono sette suore, tutte provenienti da zone diverse: c’è anche una calabrese di Nicotera. L’ultima con cui parliamo è suor Anna, lei ha passato una ventina d’anni in missione in Colombia. È la consacrata più anziana che vive ad Arghillà ed è l’unica ad aver incontrato la fondatrice delle Figlie della Chiesa, suor Maria Oliva Bonaldo: «L’ho vista senza vederla. Ero in pellegrinaggio con l’Azione cattolica. Vedendo le suore in Adorazione eucaristica, mi sono detta: “Voglio vivere così”».

«Quel giorno eravamo in quattrocento giovani; non sapevo che in chiesa c’era anche la fondatrice. Mi riferirono che pregava intensamente: “Su tutti questi ragazzi, mandamene almeno uno”. Il Signore l’ha esaudita: il mio eccomi è l’eccomi della Chiesa alla chiamata di Cristo. E non posso che esserne felice».

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