Avvenire di Calabria

L'archeologo, docente universitario e protopresbitero ortodosso replica all'ennesima analisi discriminatoria sulla Calabria

Castrizio a Occhetta: «Sulla Calabria ottusità e razzismo»

Daniele Castrizio *

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Il voto alle elezioni regionali è stato caratterizzato da una scarsa affluenza alle urne e da un esito che ha premiato i politici che hanno governato negli ultimi decenni, alternandosi con altri politici, di opposto schieramento ma di identico sentire. Il confronto, impietoso, con l’Emilia ha ulteriormente contribuito alla facile lettura di una Calabria irredimibile e arretrata, vittima e carnefice di se stessa. Amici, non crediate che io tenti una difesa d’ufficio della società calabrese, perché sono fermamente convinto che bisogni evitare ugualmente il vittimismo e l’orgogliosa giustificazione di sé stessi. Noi siamo il prodotto di secolari vicende storiche: la Calabria è stata conquistata mille anni fa e i calabresi dono stati trattati come servi della gleba, e in gran parte lo sono ancora, al servizio dei “padroni”, stranieri o locali, tenuti a freno mediante la violenza di quella che oggi chiamiamo ‘ndrangheta. Si aggiunga anche che i Calabresi, in genere, sono rimasti attaccati a forme culturali quali la massoneria, che sono state, a mio modesto avviso, travolte e completamente superate dalla Storia. Se è vero che alla metà dell’Ottocento i massoni erano l’avanguardia e la classe dirigente locale, oggi le stesse forme di associazionismo si rivelano solo un pesante retaggio del passato: una zavorra culturale di cui non molti hanno compreso a fondo la gravità e la pericolosità culturale e politica. Il mondo è cambiato, si è evoluto, e pensare di governare la società globalizzata e postmoderna con strumenti culturali di due secoli orsono è pura follia, a mio modesto avviso. Aggiungo anche che, in questo contesto, voglio deliberatamente tralasciare gli intrecci che la magistratura sta rivelando, tra massoneria deviata e nuova ‘ndrangheta imprenditoriale, tra classi dirigenti e crimine organizzato.

Il dato di partenza, come si vede, non è molto incoraggiante, ma, come dicevo poche righe fa, la Calabria è cambiata, e buona parte delle nuove generazioni, almeno quella che ha avuto la possibilità di studiare e di viaggiare, di aprirsi al Mondo, ha superato il gap che distanziava i propri padri dal resto d’Italia e dell’Europa. Il guaio è che non siamo in grado di far rimanere questa generazione colta e cosmopolita nella nostra Calabria: non troviamo per loro occasioni di lavoro e di realizzazione professionale. Il modello della classe dirigente, familista amorale e completamente slegata dal presente, è quello del clientelismo e dell’assistenzialismo, che rende i giovani succubi e perennemente dipendenti come i clientes al loro patronus: si continua a non investire nella scuola e nella ricerca, creando orde di giovani senza arte né parte, con un modello di formazione che forgia operai senza cultura generale, ottimi schiavi del mondo del lavoro dell’Ottocento, ma oggi solo pecore senza pastore in un mondo sempre più specializzato e aperto alle tecnologie.

Tra i vari commenti, quasi tutti superficiali, mi ha colpito per la sua ottusità quello di padre Francesco Occhetta, che, su Famiglia Cristiana, scrive di una “Calabria simbolo della terra di nessuno, un peso al traino del Nord”. Se un giornalista nordista sputa veleno sulla Calabria non mi stupisco, ma certo mi fa specie se un gesuita, che si presuppone illuminato, si mostra intriso di razzismo e di prevenzione. Quale “terra di nessuno”? La Calabria è stata comprata e venduta dai grandi poteri economici italiani, usata come colonia, privata scientemente delle infrastrutture indispensabili, mortificata nel welfare, ha subito uno sterminio culturale degno dei nativi americani, ha visto le sue eccellenze produttive gradualmente intaccate e rese non redditizie mediante leggi ad hoc. L’Enotria, la “terra del vino”, se si eccettua il vino di Cirò, non riesce a far valere a livello nazionale ed internazionale i propri vitigni autoctoni, ricchi di storia e di gusto inimitabile. Quanto poi al “peso al traino del Nord”, c’è da pensare che forse siamo stati troppo gentili con i nostri padroni nordisti. Sarebbe ora che la vulgata costruita appositamente per giustificare l’oppressione nordica venisse smentita con decisione da una politica meridionale che non fosse solo la perpetuazione trita e ritrita delle baronie e della nobiltà parassitaria. Svegliamoci: il mondo è cambiato! È il solito problema di attardamento culturale: non siamo nell’Ottocento, la feudalità è stata abolita, ma noi calabresi non ce ne siamo accorti, e corriamo a battere le mani ai nuovi padroni, a fare loro festa, invece di fargli le feste!

Tornando al nostro amico gesuita, egli richiama l’azione silenziosa dei vescovi dell’Emilia Romagna per la vittoria del centro–sinistra: abbiamo forse due Chiese cattoliche, oltre che due Italie? Cosa vuol dire “azione silenziosa”? Come si fa a non valutare positivamente l’azione non silenziosa della Chiesa Cattolica nelle regioni del sud? Da noi si è capito benissimo che l’uccisione di Dio perpetrata dalla criminalità organizzata, sia da quella che spara che dai “colletti bianchi”, serve solo a rimuovere i rimorsi di coscienza, a creare una impunità serva di Mammona, del dio–denaro che è il vero vincitore di queste elezioni.

 
* archeologo, docente universitario e protopresbitero ortodosso

Articoli Correlati