Avvenire di Calabria

L'Antiquum Ministerium dà slancio all’evangelizzazione in maniera più matura e consapevole

Catechisti, non prof. È svolta educativa

di Davide Imeneo

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«Quello di dare slancio all’evangelizzazione è uno degli obiettivi indicati dal Motu proprio, nel solco di una missione che caratterizza la Chiesa sin dai suoi inizi. Si tratta di trovare i mezzi, le forme e il linguaggio adatti a comunicare, oggi, Gesù a una società sempre più disinteressata e indifferente ai temi del sacro in senso classico». Sull’Atiquum ministerium di papa Francesco che ha istituito il ministero laicale di catechista, ne abbiamo parlato con Riccardo Maccioni, caporedattore e responsabile dell’informazione religiosa del quotidiano Avvenire.

Quali saranno, secondo lei, gli effetti di questa determinazione?

«Tante volte – spiega – appesantiamo il concetto di evangelizzazione con formule complicate, difficili da comprendere e da spiegare. Invece, credo, tutto ruota intorno ad alcune domande fondamentali: come si impara a vivere e a diventare uomini e donne? Qual è la strada per la felicità? Per il cristiano la risposta è una persona: Gesù Cristo. È lui la strada per la felicità, anzi è lui la felicità. E insieme il modello da imitare, cui guardare per crescere e imparare l’arte del vivere». Istituendo il ministero del catechista, il Papa evidenzia «l’importanza di far conoscere e comunicare il Vangelo di Gesù e sottolinea la centralità di questo compito all’interno della vita comunitaria». Per Maccioni, tra gli effetti benefici del Motu proprio c’è «proprio la sottolineatura dell’importanza del ruolo del catechista, e la necessità di farsene carico, di sostenerlo anche da parte di chi esercita altri compiti».

Dal testo del Motu proprio emerge ancora una volta l’importanza dell’impegno del laicato nell’opera di evangelizzazione. Secondo lei a che punto siamo da questo punto di vista?

I laici sono abbastanza considerati nella missione della Chiesa? Il Motu proprio riprende un passaggio molto significativo dell’Evangelii nuntiandi, il numero 73, circa il contributo dei laici alla crescita e alla vitalità della comunità ecclesiale. L’Esortazione apostolica di Paolo VI è del 1975, il Concilio si è chiuso dieci anni prima, ci è voluto insomma quasi mezzo secolo per evidenziare come quello del catechista costituisca a tutti gli effetti un ministero, sebbene laicale, con delle proprie peculiarità. Però ci si è arrivati e non a caso proprio oggi, in un momento in cui il dibattito sulla figura del laico cristiano, del laico “testimone”, per dirla con il cardinale Carlo Maria Martini, sta diventando più maturo. Credo si sia superata o comunque si stia superando la dimensione del “non è”: il laico non appartiene all’ordine sacro, non è un prete, non è una suora, in definitiva è un cristiano impegnato ma di serie B. Dall’altra parte si è andati oltre la scarsa consapevolezza dei laici di loro stessi, che finivano per sentirsi brutte copie dei ministri, dei parroci, confinandosi nel grigiore dei preti mancati.

Quindi, piena considerazione all’interno della Chiesa?

Oggi ai laici viene chiesto di portare anche nella Chiesa lo specifico di una presenza che caratterizza gli ambiti della loro vita: impegno sociale, lavoro, affettività. Si fa parte della comunità ecclesiale, anche mettendo a disposizione le proprie specificità. E questo si manifesta anche nei ruoli istituzionali, che non sono fondamentali ma costituiscono una cartina di tornasole dell’effettiva attenzione riservata ai laici dalla gerarchia della Chiesa. Oggi ci sono coppie responsabili di uffici diocesani della famiglia, laici e laiche economi, laici prefetti di dicasteri vaticani.

Testimone della fede, maestro, mistagogo, accompagnatore e pedagogo, il catechista, scrive papa Francesco, è chiamato a porsi al servizio pastorale della trasmissione della fede dal primo annuncio alla preparazione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana, fino ad arrivare alla formazione permanente. Ma tutto questo è possibile solo «mediante la preghiera, lo studio e la partecipazione diretta alla vita della comunità», affinché l’identità del catechista si sviluppi con «coerenza e responsabilità». Il documento affida alle Conferenze episcopali il compito di stabilire iter e criteri di selezione dei ministri. «Tuttavia - spiega ancora Roberto Maccioni - il Motu proprio evidenzia i due elementi fondamentali che devono caratterizzare il catechista, cioè il rapporto personale con Dio, che significa alimentare la propria vita spirituale, e l’orizzonte pedagogico, la preparazione e la capacità di trasmettere, di insegnare ciò che si sa».

Quali dovranno essere, secondo lei, le abilità e le competenze di un catechista?

La formazione del catechista riguarda tre aspetti: l’essere, il sapere e il saper fare, che significa anche il saper dire. In proposito il recente direttorio sulla catechesi ricorda l’esigenza di una solida preparazione biblico[1]teologica di chi assume tale incarico. Ma questo sapere non può prescindere dalla capacità di accompagnare, di rispondere alle domande, anche esistenziali di chi partecipa al catechismo. Il tutto senza mai perdere di vita la dimensione laicale del ministro. Voglio dire che la sua formazione non va concepita come un itinerario, in piccolo, in minore, della preparazione che ricevono i presbiteri. Si tratta invece di puntare proprio sulle peculiarità del laicato, di valorizzarle. In questo senso il Motu proprio chiede che il servizio sia vissuto in forma secolare senza cioè cedimenti al rischio del clericalismo. Anche le associazioni, i movimenti e le aggregazioni laicali dovranno recepire questa indicazione di Francesco.

Secondo lei in che modo cambierà il rapporto tra vita associativa e vita parrocchiale?

Credo che là dove c’è un buon rapporto tra movimenti, associazioni e comunità parrocchiali, questo non sarà messo a rischio. I problemi nascono invece quando si crea un conflitto tra le appartenenze, vissuta quasi come un confronto tra ambiti di serie A o di serie B. Più in generale sarà necessario armonizzare, ma bisognava farlo anche prima, una formazione che tenga conto della finalità proprie di associazioni e movimenti, con la natura propria della catechesi. Ad essere centrale è proprio quest’ultima, che parte da una formazione religiosa seria, fondata su una testimonianza di vita il più possibile matura e aperta al dialogo. Certo sarebbe inaccettabile che movimenti e associazioni, e purtroppo capita, si presentassero come alternativi alla parrocchia. I catechisti, spesso, sono uno snodo cruciale nella rete dei rapporti tra parrocchia e genitori.

Non teme che un eccessivo protagonismo dei catechisti possa appesantire queste relazioni?

Non credo che questo possa accadere. Il problema oggi è semmai il contrario, che cioè si attribuisca così poca importanza alla catechesi da spingere persino i ragazzi più volenterosi a disinteressarsene. In questo senso il conferire una valenza istituzionale al ruolo del catechista può creare maggiore attenzione e rispetto da parte delle famiglie. Lo dico in generale non contemplando in questo ragionamento quelle per cui vale davvero la definizione di Chiesa domestica, cui anzi verrà chiesto di accompagnare con il loro sostegno e la loro preghiera, il compito spesso arduo affidato ai catechisti. E che temo, non basterà l’istituzione di un ministero a rendere più agevole.

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