Avvenire di Calabria

Chiesa e Catechesi, farsi comunicazione vera nel tempo in cui si vive

Va detto con franchezza, i sussidi Cei stampati negli anni Ottanta, preziosi nella loro stagione, oggi non bastano più

di Davide Imeneo

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Un annuncio che non trova forma nei linguaggi abitati dalle persone risulta muto…la catechesi, quindi, non può limitarsi a trasferire nozioni; è chiamata a generare esperienze, incontri, legami, pratiche, segni

Una sala parrocchiale, un tavolo di legno, un proiettore capriccioso, il catechista con una cartellina spessa e fotocopie ingiallite di disegni da colorare. Fuori, intanto, scorre un mondo che comunica alla velocità di uno “swipe”, dove l’attenzione si gioca in pochi secondi e i significati passano per immagini, storie, audio brevi, conversazioni continue. È in questa differenza che misuriamo una distanza tra la comunicazione del mondo e la comunicazione della Chiesa: la catechesi resta vera solo se sa farsi comunicazione nel tempo in cui vive.



Va detto con franchezza, i sussidi Cei stampati negli anni Ottanta, preziosi nella loro stagione, oggi non bastano più. Hanno aiutato generazioni a camminare nella fede, ma non parlano più in modo naturale ai nativi dei nuovi linguaggi. Un annuncio che non trova forma nei linguaggi abitati dalle persone risulta muto…la catechesi, quindi, non può limitarsi a trasferire nozioni; è chiamata a generare esperienze, incontri, legami, pratiche, segni. Negli anni delle dispense ciclostilate la domanda era “che cosa dire?”; oggi la questione decisiva è “che cosa far accadere?” perché il Vangelo diventi evento nella vita concreta: ascoltato, compreso, celebrato, testimoniato.

Oggi i canali sono plurali e intrecciati, e la “grammatica” cambia senza sosta, una comunità che voglia davvero comunicare la fede accetta che il digitale diventi esperienza concreta attraverso cui veicolare la compagine ecclesiale. Si tratta di onorare l’incarnazione, cioè il principio per cui la Parola prende carne nei linguaggi reali delle persone, anche la cura della forma è atto pastorale. Un’immagine sobria, un suono pulito, un ritmo narrativo chiaro educano all’ascolto e aprono varchi alla verità. Anche l’integrazione tra presenza e digitale chiede discernimento: l’incontro comunitario resta il centro, ma può essere preparato, accompagnato e prolungato da contenuti e dialoghi online che sostengano la continuità del cammino.

Proprio per questo i sussidi vanno ripensati…quelli degli anni Ottanta hanno offerto rigore dottrinale, itinerari ordinati, attività concrete, sono certamente un’eredità da custodire. Il contesto, però, è cambiato: famiglie più frammentate e frettolose, alfabeti mediatici tanto ricchi quanto diseguali, domande più liquide e meno prevedibili. Oggi servono strumenti vivi, aggiornabili, capaci di incrociare età e condizioni diverse, forti nel contenuto e agili nella forma. Non si chiede di “banalizzare” o, peggio, semplificare la fede, ma di tradurla senza tradirla, con un linguaggio che rispetti l’intelligenza di chi cerca senso nella complessità della vita quotidiana. Una pastorale comunicante nasce dall’ascolto.

Prima delle parole, vengono le storie: quali sono le soglie, le fatiche, le attese dei bambini e dei preadolescenti che abitano le nostre parrocchie? Che cosa vivono i genitori, con quali tempi e quali sensibilità? Quale domanda abitano i catecumeni? Da qui si rimodella l’annuncio, restituendo centralità al kerygma in forme narrative: una storia, un volto, un segno che aprono la porta al mistero. Una parrocchia o una diocesi che comunicano bene costruiscono cicli riconoscibili legati all’anno liturgico, coordinano le piattaforme in modo coerente, definiscono ruoli e responsabilità, verificano non solo i numeri della presenza ma i segni di cambiamento nelle persone: più familiarità con la Scrittura, maggiore partecipazione alla liturgia, scelte di carità più concrete.


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In questa logica, piccole iniziative possono fare la differenza: un percorso audio settimanale che intreccia Vangelo e vita nei tempi morti della giornata, una immagine essenziale con una frase e una domanda capace di entrare nelle case e negli smartphone senza infantilismi, un gesto liturgico spiegato e vissuto insieme, per riallacciare la catechesi alla celebrazione e alla memoria domestica della fede. La responsabilità, infine, riguarda gli adulti: senza un loro reale coinvolgimento ogni sforzo educativo sui più piccoli si sgonfia.

Occorrono percorsi brevi e chiari, collocati nei tempi forti dell’anno, sostenuti da materiali digitali sobri e da inviti espliciti alla partecipazione liturgica e alla carità operosa. È lì che la catechesi ritrova il suo respiro ecclesiale: nella comunità che ascolta, celebra e serve.

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