
Limbadi, il 6 maggio si illumina per Maria Chindamo: memoria viva contro la ‘ndrangheta
Nel nono anniversario della scomparsa di Maria Chindamo, il luogo del delitto si trasforma in
Chiesa e 'ndrangheta, Oliva: «Noi cattolici non possiamo più essere complici o inerti». Il vescovo di Locri-Gerace ha rilasciato un'ampia intervista ad Avvenire di Calabria sul tema. Tanti gli spunti del pastore che, in particolare, evidenzia come sia fondamentale «l'impegno di educazione delle coscienze».
Sulle Linee guida della Cec contro la ‘ndrangheta, abbiamo intervistato monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace e amministratore apostolico di Mileto-Nicotera-Tropea.
La ‘ndrangheta è un male sociale gravissimo, che va affrontato a tutto campo. È un fenomeno criminale cui è sotteso un modo di pensare ed una pseudocultura che inquina le relazioni sociali, corrompe le istituzioni e favorisce gravi forme di sottosviluppo, favorisce l’illegalità e la disaffezione verso le istituzioni democratiche sino a condizionare il corretto esercizio delle manifestazioni religiose.
È una mentalità mafiosa, che va affrontata e combattuta sul piano culturale, etico e religioso, oltre che giudiziario. In questa direzione l’impegno formativo delle istituzioni civili (scuola, università), e della Chiesa in particolare, è fondamentale e decisivo. L’azione repressiva a livello penale è necessaria per arginare il fenomeno mafioso quando si esprime nella criminalità organizzata.
Un’azione questa che non può essere rallentata, anche se non basta a risolvere il problema, se ad esso non si associa un’azione di prevenzione e formazione. In questo impegno di educazione delle coscienze, la Chiesa ha un ruolo importante, deve sempre di più spendersi. La fede vissuta nella coerenza di una vita radicata ai valori evangelici è di grande aiuto. Quando parliamo di questi problemi anche – e soprattutto - a noi cristiani è richiesto un serio esame di coscienza. Il cristiano non può né esserne complice né restare inerte senza la forza e la capacità della denuncia.
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Di certo, l’attenzione generale e la riprovazione pubblica di simili legami malavitosi, come anche le disposizioni di ineleggibilità a cariche pubbliche, hanno il loro valore. Ma non bastano. Quando si fa del denaro, del malaffare, del potere, degli egoismi individuali una ideologia da perseguire ad ogni costo, si diventa adoratori del male.
E la ‘ndrangheta, e ogni forma di mafia, la massoneria deviata, come ebbe ad affermare papa Francesco nella sua omelia nella piana di Sibari il 21 giugno del 2014, non sono altro che «adorazione del male e disprezzo del bene comune » da combattere con una sana e coerente testimonianza di vita, con la rettitudine dell’agire, il rifiuto di ogni forma di corruzione, delle facili scappatoie, della ricerca del proprio tornaconto e del facile guadagno, delle raccomandazioni.
E comunque ricostruendo il tessuto sociale sulla base di un recupero dell’etica pubblica e della responsabilità sociale. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri». Diceva Paolo VI in un suo discorso al Pontificio Consiglio per i laici nel contano 2 ottobre 1974.
Da più tempo i vescovi, pur riconoscendo il valore della pietà popolare, ne auspicano la purificazione da incrostazioni anacronistiche e da condizionamenti esterni da parte di soggetti che nulla hanno a che fare con la religione. La stessa figura dei padrini è stata compromessa: da accompagnatori e testimoni della fede sono divenuti figure di scarso riferimento spirituale. Spesso scelti solo per arricchire le aderenze, le amicizie e complicità, i rapporti di “comparaggio”.
Nell’approfittare di questo sono stati abili gli appartenenti alle famiglie mafiose, che hanno indotto ad una deformazione lessicale del termine “padrino”. In questo contesto se si vuole conservare tale figura occorre recuperarne la valenza religiosa. Per questo i parroci e i sacerdoti interessati sono richiamati ad una maggiore vigilanza sulla presenza dei requisiti necessari. Una tale figura, che non è obbligatoria, deve essere messa in condizione di comprenderne e viverne il ruolo.
Nella chiesa occorre ridare animo alla pietà popolare facendo capire che non ci si può ritenere cattolici con la semplice partecipazione ai riti religiosi senza una vera adesione interiore ed uno stile di vita coerente con i valori evangelici.
PER APPROFONDIRE: ‘Ndrangheta e fede, ecco le linee guida dei vescovi calabresi
Con esse non si vuole costituire un ennesimo organismo diocesano, ritenendo che con la loro sola istituzione e presenza sia risolto il problema. Essa vanno pensate in modo da essere composte da fedeli sacerdoti e laici, al di sopra di ogni sospetto, impegnate nella lotta contro ogni forma di mafia, che professano attivamente la propria fede ed abbiano un vivo senso di appartenenza alla chiesa.
L’ateismo contemporaneo si manifesta nella frattura tra fede e vita. Alla professione formale della fede non sempre corrisponde l’adesione al vangelo. La comunità cristiana ha bisogno di recuperare la consapevolezza della sua missione di testimonianza evangelica nella realtà sociale.
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