Avvenire di Calabria

Le circostanze eccezionali e contingenti hanno fatto riemergere l’esigenza di un bilanciamento e di un’attenzione in più rispetto alle fonti d’informazione

Coronavirus: fact-checking sulle bufale e tutela della privacy

Redazione Web

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

di Lucia Lipari* Il Ministero della Salute sta svolgendo un alacre lavoro di fact-checking, provvedendo a confutare, sulla base delle evidenze scientifiche, sempre nuove fake news circolanti sul tema dell'infezione da nuovo coronavirus.
Nei periodi di emergenza, infatti, bufale e disinformazione imperano sul web e sui social network, e riconoscerle non è sempre semplice. Ad esempio una di queste bufale veicola il messaggio per cui bere latte o ingerire acqua e bicarbonato protegga e curi l’infezione da nuovo coronavirus, così come mangiare peperoncino, basilico, rosmarino e origano. Si è perfino arrivati a dire che tagliarsi la barba consenta di evitare il contagio, interpretando tendenziosamente un’infografica del CDC dedicata alla sicurezza sul lavoro per il corretto utilizzo delle mascherine. Un rosario di false affermazioni si snoda in queste settimane in rete, tanto da rendere necessario l’intervento del Ministero della Salute, che sul proprio portale istituzionale ha pubblicato l’ottava parte del dossier relativo a queste assurdità da clickbaiting**.

L’ultima bufala, smentita dal Ministero, riguarda l’ozono quale rimedio per la disinfezione, usato per sterilizzare aria e ambienti. Al punto 8 del decalogo di rettifiche, il Ministero scrive “non ci sono evidenze scientifiche che confortino sul fatto che l’ozono svolga una funzione sterilizzante nei confronti del virus e che conseguentemente metta al riparo dal contrarre l’infezione”.
Si tratta di una smentita che darà indicazioni più precise per chi si trovi a disinfettare luoghi pubblici e che avrebbe potuto ritenere un ozonizzatore un valido rimedio.

E’ tornata a salire, insomma, l’incidenza della disinformazione sul totale delle notizie online relative alla salute e legate al coronavirus. È quanto rileva anche il secondo numero dell’Osservatorio sulla disinformazione online - Speciale Coronavirus, pubblicato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Il content analysis di tutti gli articoli di disinformazione sul coronavirus sottolinea, oltre alle fake news, la diffusione di alcune narrazioni clichè sull’epidemia: rischi, cure, teorie complottiste e cronaca, incentrati sull’uso frequente di parole atte a parlare alla pancia dei cittadini e suscitare emozioni negative. Questo è quanto riportato dalla nota stampa Agcom. Per gli utenti del web, dopo aver toccato l’apice dell’informazione nelle settimane più critiche dell’emergenza, si è verificato un calo in rete delle ricerche sul coronavirus.

A grandi linee, durante la pandemia, in Europa si è riscontrato un rialzo dei consumi di notizie online. L’Italia è però il Paese che mostra i tassi di crescita più elevati sia per la fruizione di informazione online, sia per l’utilizzo di social network, siti e app di messaggistica. Un dato da rilevare è però quello che vede, dall’inizio dell’anno, la registrazione di 16.000 nuovi domini internet legati al Covid-19, di cui circa il 20% con finalità fuorvianti.
Le circostanze eccezionali e contingenti hanno, da un lato, fatto riemergere l’esigenza di un bilanciamento e di un’attenzione in più rispetto alle fonti d’informazione, tenuto conto anche dell’effetto onda, il cosiddetto ripple effect, di notizie false, e dall’altro lato, hanno generato forti preoccupazioni legate alla riservatezza dei dati personali di tanti cittadini e lavoratori.

Il Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha infatti ricevuto diverse segnalazioni e reclami di familiari di persone affette da Covid-19, che contestavano la diffusione sui social e sugli organi di stampa, anche on line, di dati personali eccessivi dei propri congiunti (nome, cognome, indirizzo di casa, dettagli clinici). Il Garante, pertanto, è dovuto intervenire sul punto e rimarcare che, sebbene l’informazione sia un servizio indispensabile per la collettività, non possono essere disattese alcune garanzie a tutela della riservatezza e della dignità delle persone colpite dalla malattia, prerogative queste contenute nella normativa vigente e nelle Regole deontologiche relative all’attività giornalistica.

Il Garante Privacy ha pertanto considerato opportuno allertare gli operatori dell’informazione al rispetto del requisito dell’“essenzialità” delle notizie che vengono fornite, evitando di rendere noti i dati personali dei malati che non rivestono ruoli pubblici e, per questi ultimi, sempre nella misura in cui la conoscenza della positività assuma rilievo in ragione del ruolo svolto.
La stessa Autorità ha pertanto ribadito l’importanza di astenersi dal riportare riferimenti particolareggiati riguardo la situazione clinica delle persone affette dalla malattia, come disposto dall’art. 10 delle Regole deontologiche citate.
Un’informazione efficace sullo stato della pandemia opera a prescindere dalla circostanza che i dati siano resi disponibili da enti o altri soggetti detentori dei dati medesimi ed inoltre la cautela al riguardo salvaguarda le tante persone risultate positive al virus, e poi guarite, da una “stigmatizzazione” permanente, resa possibile dalla diffusione delle notizie sulla rete.

* Avvocato - Data Protection Officer in ambito sanitario

** Clickbait (o clickbaiting, tradotto "esca da click") in italiano acchiappaclick, è un termine che indica un contenuto web la cui principale funzione è di attirare il maggior numero possibile d'internauti, per generare rendite pubblicitarie online.

Articoli Correlati