Avvenire di Calabria

Economista dei trasporti della Bocconi, fondatore della PtsClas, uno delle più importanti agenzie di consulenza professionale del Paese, da sempre si è occupato del maxi– progetto del Ponte sullo Stretto di Messina

Costruire il Ponte oggi? Il prof Zucchetti: «Costerebbe di meno»

Federico Minniti

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Roberto Zucchetti, economista dei trasporti della Bocconi, è il fondatore della PtsClas, uno delle più importanti agenzie di consulenza professionale del Paese. Un passato da sindaco (a Rho, in provincia di Milano), da sempre si è occupato del maxi– progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Un tema tornato in auge in queste settimane e, a suo avviso, che merita ancora di essere discusso. Oggi più di ieri. Ecco perché.

Facciamo un passo indietro. Se le dico Ponte di Messina, lei a cosa pensa?
Vorrei fare con voi un rapido excursus storico. Si iniziò a parlare del Ponte con la legge 1158 del 1971: ben 49 anni fa. Nei primi trent’anni, cioè fino al 2003, si progettò l’opera che poi fu inclusa nei 18 progetti prioritari a livello europeo da rendere operativi entro il 2020 (quest’anno, ndr). L’anno successivo venne pubblicato il bando di gara e, in soli 36 mesi, si trovarono General Contractor (Impregilo) e servizio di controllo (Parsons Trasportation Group). Dal 2009 al 2012, il dibattito divenne “politico” e il consenso dei locali fece lievitare i costi del 45%. Fu il tempo che determinò il declino di questa maxi–opera.

In base ai suoi studi, possiamo sapere quanto si è già speso?
Ad oggi, è certificato che sono stati spesi ben 320 milioni di euro, secondo la stima della Corte dei Conti del 2016. Questo soltanto per tenere in vita la società, Stretto di Messina Spa, e le spese iniziali del progetto.

E quanto dovremmo spendere realisticamente di penale?
La risoluzione unilaterale del contratto è oggetto di un lungo contenzioso. La richiesta di indennizzo da parte di Eurolink è stato di circa 1,2 miliardi di euro. Verosimilmente si potrà chiudere attorno ai 700 milioni di euro: la prossima udienza, l’ennesima, si terrà il prossimo 8 luglio presso il Tar del Lazio.

Perché si è tornato a parlare di Ponte sullo Stretto oggi?
Anzitutto nell’ottobre 2019, l’allegato Infrastrutture del Def ha parlato di «verifica di fattibilità del collegamento, stabile o non stabile, attraverso lo Stretto di Messina». Non una vera e propria riapertura al progetto, ma quasi. Inoltre, la situazione straordinaria attuale sta aprendo lo scenario del Recovery Fund che rappresenta un’occasione molto ghiotta: in questo caso occorre comprendere quanto costa, oggi, il denaro per farlo. Ed è molto poco.

Lei ci sta dicendo che, nel 2020, il Ponte costerebbe «di meno»?
Esattamente. Sono soldi a fondo perduto che altrimenti perderemmo. Come accade con tantissimi fondi Pon che non vengono spesi. Il tasso di interesse sarebbe vicino allo zero e, inoltre, vista l’architettura societaria che vede società Stetto di Messina controllata da Anas e a sua volta controllata da Trenitalia, è facile comprendere come il soggetto promotore avrebbe la solidità patrimoniale per affrontare l’investimento.

C’è chi dice che tra i principali oppositori del Ponte ci siano le aziende che operano nel traghettamento sullo Stretto.
Bisognerebbe smetterla di giocare ai guelfi e ghibellini. Un esercizio molto in voga in Italia. In tema di traghettamento, le altre esperienze nel mondo ci dicono altro. È stimato, infatti, che il 28% delle automobili e moto resteranno sulle navi, così come il 13% dei veicoli commerciali.

Ma, facendo una valutazione costi/benefici, il Ponte porterebbe davvero uno sviluppo per il Mezzogiorno?
Il ponte è un ponte: serve quanto sono importanti i punti che collega. Se il progetto è limitato al “Ponte” è inutile; se abbiamo un progetto di collegamento stabile e veloce della Sicilia e della Calabria con il resto del Paese allora può portare importanti cambiamenti. Ricordo però che maggiore accessibilità vuole dire maggiore competizione.

Quindi, il Ponte è utile solo a determinate condizioni?
Certo, anzi dico di più: è inutile se non lo si vede come un’opera che si incasta in un sistema di trasporto intermodale totalmente da rivedere, specie in alcune aree del Mezzogiorno.

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