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Da Kiev a Reggio Calabria, il racconto: «Le nostre case bombardate». Victoria ripercorre i giorni dell’attacco iniziale su Kiev. Appena ha potuto è salita sul primo pullman diretto in Italia. Poi il trasferimento a Reggio Calabria dove vive una sua stretta parente.
Strade diverse, un unico desiderio: scappare dalle bombe. Arrivano dalla regione centrale dell’Ucraina a poche centinaia di chilometri da Kiev. Sono tre famiglie che alloggiano tra Cannavò e Sala di Mosorrofa, nella zona collinare di Reggio Calabria, ospiti di alcuni parenti che ormai vivono stabilmente in Italia.
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L’accoglienza dei rifugiati viaggia in modo autonomo: gli ucraini vogliono fermarsi prevalentemente nei paesi limitrofi con la speranza di tornare il più presto possibile a casa. Qualcuno si è spinto oltre. «Ci abbiamo messo cinque giorni di pullman, - racconta Victoria - ma non potevamo più restare in Ucraina».
La sua zona d’origine è stata presa d’assedio: «Già dal secondo giorno abbiamo lasciato il nostro appartamento per rifugiarci nei sotterranei, eravamo esattamente nel vano delle condotte idriche». Appena possibile, Victoria con la mamma e le sorelle hanno deciso di ricongiungersi con una loro parente che vive in Calabria. «Non è facile lasciare tutto. Casa vuol dire ricordi, ma anche vuol dire presente e futuro».
Ad aiutarci nella traduzione ci pensa Lidia. Lei vive a Reggio Calabria da oltre un decennio: ospita la famiglia di alcuni suoi cugini. «Vivevano poco distanti da una caserma. Hanno subito capito che i raid non si sarebbero fermati». «Pochi giorni fa hanno saputo che alcune bombe sono cadute poco distanti da casa loro» aggiunge Lidia che non nasconde la commozione. «Fuori dall’Ucraina non avevano nessuno, quando mi hanno chiamato per chiedermi cosa fare, non ci ho pensato un attimo e ho detto loro: “Venite subito qua”».
Il viaggio in macchina è stato ardimentoso: difficile persino trovare il carburante per uscire dai confini ucraini. «L’Ucraina è uno Stato libero. Da tanti anni abbiamo deciso come popolo di aprirci allo sviluppo economico e culturale», ci raccontano.
Accanto a noi c’è don Nino Russo, parroco di Cannavò, quartiere collinare di Reggio Calabria. «È commuovente ascoltare le loro parole; la comunità si è da subito messa all’opera per provare a integrarli e supportarli nelle loro necessità». C’è un episodio in questi giorni che ha colpito don Nino.
Tra gli ultimi arrivati c’è un bimbo portentoso a calcio. Prima dell’inizio del conflitto giocava nelle giovanili della Dinamo Kiev, la squadra che ha lanciato la stella del football, Andriy Shevchenko. «L’abbiamo inserito nella nostra squadra di calcetto dell’oratorio - spiega il sacerdote - e all’inizio era spaesato. È stato bellissimo vedere l’abbraccio dei suoi nuovi compagni di squadra appena ha segnato il suo primo gol».
Una piccola gioia per grandi e piccini. Gli stessi che sperano, il prima possibile, che questo incubo possa finire: «Tutto il mondo prega per la pace, tutto il mondo vuole pace - dice Lidia tutto questo deve finire subito». «Certo che vogliamo tornare a casa; la nostra vita è lì. Vogliamo crescere liberamente - conclude Victoria - proprio come stavamo facendo da prima dello scorso 24 febbraio».
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