Avvenire di Calabria

Divina Commedia, chiave di volta tra pre-umanesimo e modernità

Un viaggio che continua alla ricerca dei valori smarriti della vita sociale e anche morale

di Benedetta Borrata

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Il viaggio di Dante come percorso dell’uomo, passeggero sulla terra che tende verso il cielo, dietro la forte spinta morale del suo essere

L’originalità è la sostanza dell’attualità della Divina Commedia, di una scrittura icasticamente dinamica, fomentata da ineguagliabile visibilità e da realtà vivente. Dante, eroe della Commedia, exul immeritus, da individuo consapevole di inadeguatezza e ineffabilità («Io non Enea, io non Paulo sono», «E cede la memoria a tanto oltraggio», «Un punto solo m’è maggior letargo»), si sdoppia in ruoli combinati e non dissonanti: quello del protagonista del viaggio nell’oltretomba e quello del narratore del percorso, storicamente definito, felicemente concluso e, quindi, trasmesso ai suoi lettori come esemplare esperienza.



Lo smarrimento della società

Accogliendo il motivo del viaggio come percorso dell’uomo, passeggero sulla terra che tende verso il cielo, dietro la forte spinta morale del suo essere, il poeta indica un itinerario esemplare per tutti, di rigenerazione, di riscatto, di salvezza. Dante-personaggio, ma anche scrittore e poeta, è simbolo di una società storicamente definita, quella della fine del Duecento, che ha smarrito i valori della vita sociale e morale; l’autore ne va alla ricerca proprio attraverso la scrittura, la consegna di un messaggio agli uomini del suo tempo e non solo. Forse l’impegno più grande per Dante è stato quello, all’inizio del suo racconto, di individuare la formula, strutturale e semantica, per proporsi efficacemente all’attenzione dell’intera umanità in quel canto, considerato poi un canto proemiale.

«Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita», è forse la terzina più praticata, irrevocabilmente consegnata anche a memorie e culture di non specialisti. È la terzina in cui il poeta confessa la sua aspirazione universale, racchiusa nella combinazione di «nostra vita» con l’io sottinteso di «mi ritrovai», come punto di comune sofferenza, di disorientamento nella selva labirintica, metafora di una condizione esistenziale, di una sofferenza individuale e, più in generale, della creatura uomo.

Il rapporto tra Dante e il lettore

Si apre così la missione speciale del poeta in stretta relazione con il lettore, simile a quella di un profeta con i suoi ascoltatori. Sono diversi i punti di diretto appello al lettore («Pensa, lettor, se io mi sconfortai»), attraverso la figura retorica dell’apostrofe, come momento confidenziale di comunicazione e di sollecitazione verso i principi della morale e della carità cristiana, punti nodali dell’asse portante dell’intero poema. Un viaggio, dunque, di missione, di conoscenza, di percorsi reali, di scene visibili del grande tappeto della storia, intessuta di exempla, di azioni di uomini realmente esistiti: imperatori, papi, eroi, pensatori, nobili, cavalieri, richiamati per le loro virtù e, spesso, per le loro debolezze e per i loro errori.

Dante, pur ancorato ai dettami della morale e della retorica del suo tempo, ha conquistato la sua massima espressione poetica concedendosi la libertà di muoversi tra reale e virtuale, tra piani spaziali e temporali diversi, tra simboli, allegorie, metafore, similitudini, mirando a esplicitare, con chiarezza e senza infingimenti, verità incontestabili inserite in un quadro di totalizzante umanità. Forse il punto più seducente e coinvolgente della sua arte è la teatralità, la sceneggiatura del visibile parlare, anche attraverso le similitudini che si allargano oltre l’aspetto ornamentale per incardinarsi profondamente nel testo e, ancor di più, attraverso l’applicazione della legge del contrappasso, secondo la quale i peccatori sono puniti con pene richiamanti le colpe, o per analogia o per contrasto.

I gironi danteschi

Si pensi agli ignavi, che corrono nudi dietro a un’insegna, stimolati da mosconi e da vespe; hanno il volto rigato di sangue che, mescolato alle lacrime, è raccolto ai loro piedi da fastidiosi vermi. E ancora, ai lussuriosi, spinti da un’inarrestabile bufera così come era stata la loro passione, o ai consiglieri fraudolenti, avvolti ciascuno in una fiamma appuntita come una lingua. Si sviluppa così la prospettiva etica e religiosa di Dante, costantemente impegnato nella denuncia del disordine sociale della «selva oscura» in contrasto con «La provedenza che cotanto assetta».


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Giunto nel cielo delle stelle fisse, guardando verso il basso, vede la terra e dice: «l’aiuola che ci fa tanto feroci»; a quella distanza, l’aiuola, nel senso di piccola aia, rivela la sua limitatezza spaziale, il vaneggiare e l’«insensata cura dei mortali».

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