Avvenire di Calabria

Preferire il silenzio della preghiera alla speculazione ideologica

Dj Fabo, «non esiste una vita umana più sacra di un’altra»

Redazione Web

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di Giorgio Arconte - Ci hanno insegnato che di fronte alla morte l’unico atteggiamento giusto è quello del silenzio e non sono qui, infatti, per commentare la scelta di dj Fabo. Non perché non bisogna giudicare mai, come una certa vulgata vorrebbe farsi ingabbiare: il giudizio quando è discernimento non solo è giusto ma anche essenziale. È quando diventa condanna che il giudizio non è più concepito cristianamente. Se proprio, quindi, vogliamo rivolgere un pensiero a dj Fabo facciamolo nel silenzio della preghiera.

Ciò su cui non si può fare silenzio è la speculazione ideologica che in questi giorni incalza su tutti i media. Il trucco è sempre lo stesso: creare il caso e sollevare un gran baccano attorno in modo da spostare il piano del dibattito da quello razionale a quello emozionale, più fluido e facile da orientare. Ad analizzare bene i fatti, risulta infatti che Fabo non era un malato terminale né su di lui vi era accanimento terapeutico, quest’ultimo condannato anche dalla Chiesa. Inoltre, la morte di dj Fabo è coincisa con  la calendarizzare alla Camera del ddl sulla Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat). È evidente che il chiasso e l’esasperazione del dibattito, lasciato ad opinionisti che non hanno alcuna specializzazione se non quella dello show business, è funzionale a creare uno scontro dove ad emergere non sono riflessioni ma luoghi comuni che dividono e confondono un opinione pubblica che, in realtà, non deve avere una propria idea in merito.

Tutto ciò non è possibile associarlo alla parola rispetto né a qualsiasi idea di libertà. Tutto questo è semplicemente inaccettabile! E non solo per evitare di uccidere Fabo una seconda volta ma anche per scongiurare che altre vite sofferenti possano essere ingannate. Angelo Mainini, medico fisiatra che ha seguito dj Fabo nella sua degenza, ha dichiarato su Avvenire che «In decenni a contatto diretto con pazienti come Fabo vediamo che il problema è avere o non avere qualcosa per cui valga la pena vivere». Secondo Mainini, infatti, Fabo «credeva nella possibilità di migliorare, si era affidato anche a terapie sperimentali. Poi ha capito che, almeno ad oggi, la medicina non era in grado di ridargli le sue funzioni. Caduta la speranza, non ha trovato qualcosa per cui valesse la pena vivere anche così». Sono parole importanti su cui riflettere e sulle quali davvero occorre concentrare l’attenzione piuttosto che su leggi e regolamenti che mai potranno cogliere la verità dell’Uomo e della condizione di sofferenza. Questa «società dello scarto», così come l’ha definita papa Francesco, tende a misurare la vita solo in termini di capacità di consumo tanto da rimuovere da ogni prospettiva le dimensioni assolutamente umane del dolore, della malattia e della morte. Non è così per il cristiano il quale è fermamente convito che, usando sempre le parole di Bergoglio, «Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra». Continua Francesco rivolgendosi all’Associazione medici cattolici italiani nel 2014, «Il pensiero dominante propone una ‘falsa compassione’» mentre «la compassione evangelica è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del buon smaritano che ‘vede’, ‘ha compassione’, si avvicina e offre aiuto concreto».

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