Avvenire di Calabria

Gianni Cucè lavora al Cereso da vent'anni e di ragazzi in balia delle dipendenze ne ha visti davvero tanti

Droga, i metodi ”duri” dell’educatore: «Confrontiamoci»

Federico Minniti

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Ad aprirci il cancello della Comunità è Gianni Cucè, educatore del Cereso da ormai 20 anni. Tuta, mascherina e occhiali da sole: la sua “divisa” ci incuriosisce. Vedendolo andare avanti e indietro, capiamo il perché debba stare così comodo: la mattinata che viviamo a Sant’Alessio gli cala d’alto le vesti da cicerone della struttura, un abito che gli calza a pennello.«Ogni giorno quando apro questo cancello è difficile non portarsi dentro i volti dei ragazzi che ho conosciuto in questi vent’anni. La prima sensazione che ho percepito il primo giorno che sono entrato in Comunità è stata quella di vedere la sofferenza di ritrovarsi in quello stato che si intreccia con la voglia di riscatto », racconta. Quando arriviamo al tavolo “tech” è subito illustrata l’organizzazione del Cereso e...della giornata. Ruoli, responsabilità e attività: tutto da comunicare agli educatori in turno.

Una forma di controllo? Non immaginatevi nessuna coercizione, anzi. «A noi serve sapere dove sono i ragazzi per poter intervenire con lo strumento più potente che abbiamo: il confronto », spiega Gianni Cucè.

Mentre ci illustra tutti gli adeguamenti dovuti al Covid-19, con un’ala della struttura dedicata alla quarantena fiduciaria per i nuovi ingressi in comunità, Cucè non manca di tratteggiare come siano cambiati gli ospiti in questi vent’anni: «C’è stata una vera epropria rivoluzione, sia dentro le Comunità, se pensiamo a vent’anni fa immediatamente parliamo di metadone, ma anche fuori con l’evoluzione delle sostanze: oggi le droghe chimiche stanno stravolgendo anche l’approccio che hanno gli utenti rispetto al riconoscersi “tossici”. Sono più inseriti nella società, non vivono ai margini, e per questo l’effetto è più difficile da distinguere».

Ma cosa spinge un uomo, ogni mattina, a vivere la dimensione comunitaria con quelli che molti definiscono “gli scarti della società”. La risposta dell’educatore reggino è carica di emozioni: «È bellissimo vivere il rapporto coi ragazzi, il loro affidamento a noi educatori è un regalo vicendevole che ci facciamo. L’obiettivo è ricostruire, ma per riuscirci, dobbiamo farlo assieme».

«Non si arriva alla droga per via di drammi gravi. Spesso ciò che incide è la mancata accettazione di se stesso: “farsi” aiuta a darsi una dimensione nel rapporto con gli altri. Vivere la dimensione comunitaria ribalta questo principio: qui ognuno è valorizzato per quello che è», conclude Cucè.

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