Avvenire di Calabria

Cosa vuol dire celebrare oggi la Giornata del Rifugiato? Il punto di vista di padre Gabriele Bentoglio

Giornata del Rifugiato, accogliere con speranza e guarigione

Partendo dalle parole del Santo Padre, il religioso scalabriniano pone l'accento su alcuni valori guida

di Gabriele Bentoglio *

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Cosa vuol dire celebrare oggi la Giornata del Rifugiato? Il direttore del Centro diocesano "Migrantes" propone la sua chiave di lettura. Partendo dalle parole del Santo Padre, il religioso scalabriniano pone l'accento su alcuni valori guida.

L'editoriale di padre Gabriele Bentoglio sulla Giornata del Rifugiato

I l mondo si va sempre più unificando, anche grazie ai mezzi di comunicazione e ai frequenti e rapidi movimenti delle persone. L’autentica unità, però, si fonda sulla consapevolezza della comune appartenenza alla natura umana. Solo così si edifica l’unica famiglia, dove tutti siamo interdipendenti. In effetti, ciò che accade in una parte del mondo si ripercuote anche altrove e questo dice che il mondo è davvero un villaggio, di cui tutti siamo diventati cittadini. La mobilità umana è una di queste manifestazioni a livello globale.


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Lo ribadisce Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebrerà domenica 25 settembre. Il Santo Padre afferma che «la presenza di migranti e rifugiati rappresenta una grande sfida ma anche un’opportunità di crescita culturale e spirituale per tutti. Grazie a loro abbiamo la possibilità di conoscere meglio il mondo e la bellezza della sua diversità. Possiamo maturare in umanità e costruire insieme un “noi” più grande».

Quest’anno il Messaggio di Papa Francesco sottolinea che l’umanità costruisce insieme il suo futuro. Questo produce immancabili conseguenze per l’individuo, la società, gli Stati e le Chiese locali. La prima è che una famiglia autentica non è dominata dai membri più forti, ma si comporta esattamente all’opposto, cosicché i bisogni dei membri più deboli determinano le decisioni da prendere. A fondamento vi è, senza dubbio, una cultura d’accoglienza, ospitalità e solidarietà. Come afferma il Santo Padre: «Il progetto (di Dio) è essenzialmente inclusivo e mette al centro gli abitanti delle periferie esistenziali. Tra questi ci sono molti migranti e rifugiati, sfollati e vittime della tratta.

La costruzione del Regno di Dio è con loro, perché senza di loro non sarebbe il Regno che Dio vuole. L’inclusione delle persone più vulnerabili è condizione necessaria per ottenervi piena cittadinanza». Migranti e rifugiati compiono atti di coraggio nell’abbandonare la loro patria quando sono soggetti alla miseria o sono perseguitati. Spesso sono vittime di guerre e di violenze, costretti a fronteggiare condizioni disumane. Non di rado devono affrontare esperienze traumatiche.


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Si ritengono fortunati, ma i loro familiari rimangono in zone di pericolo. Ecco, allora, che la comunità cristiana ha la missione di tutelare la dignità umana, specialmente con la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite e promette orizzonti di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione e nell’assicurare che drammi e tragedie – già troppo a lungo sperimentati in tempi passati e anche ai giorni nostri – non accadano mai più.

L’obiettivo a cui punta il Messaggio pontificio è quello di garantire ai migranti e ai rifugiati concrete possibilità di sviluppo del loro potenziale umano, dal momento che «costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione».


* direttore Centro diocesano Migrantes

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