Avvenire di Calabria

Essere onesti paga

’Ndrine e arresti

Federico Minniti

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Probabilmente la lotta alla ‘ndrangheta non ha mai conosciuto un momento così intenso. Dopo anni di delittuoso silenzio sulle famiglie della criminalità organizzata calabrese si sono aperti i riflettori, anche mediatici. Un’attenzione in chiaroscuro (come detto recentemente anche dal Procuratore di Reggio Calabria, Cafiero De Raho) che rischia di tralasciare (più o meno volontariamente) quelle che sono le sfumature più delicate di un anno campale sotto il profilo investigativo– repressivo. Gli organi inquirenti sono convinti di essere a diretto contatto con la struttura (o forse è meglio definirla specularmente “sovrastruttura”) apicale della ‘ndrangheta. Ad un anno esatto dall’operazione “Mammasantissima” (poi confluita nel maxi–processo “Gotha”e che sta muovendo in modo farraginoso i suoi primi passi) la sensazione è che si stia giocando una guerra di posizione. Da un lato la magistratura e le forze di polizia dall’altra parte l’apparato, il sistema mafioso e il suo reticolato relazionale.

Una «mafia liquida» che permea ovunque, soprattutto nei gangli della Pubblica Amministrazione, e pertanto che va affrontata con strumenti altrettanto complessi. Se con operazioni recenti, come «Mandamento», è stato colpito il “cuore” della ‘ndrangheta appare chiaro che bisogna inaridire le arterie di consenso delle ‘ndrine per offuscare l’operosità della “testa” dei clan. Due i filoni di intervento necessari per raggiungere questo obiettivo: quello educativo e quello economico. A sostenere questa tesi di «resistenza antimafiosa» soggiungono due esempi dalla vicina Sicilia: don Pino Puglisi e Libero Grassi.

Consentiteci una premessa: tra il 23 maggio e il 19 luglio si consuma – annualmente – il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli uomini delle loro scorte. Ne parliamo anche noi ospitando in questa pagina due riflessioni sul sacrificio di un uomo giusto, Paolo Borsellino, a firma del coordinatore regionale calabrese di Libera, don Ennio Stamile e degli uomini e le donne di ReggioNonTace. Ma se il pool reggino, al pari di quello catanzarese retto da Nicola Gratteri, trae profonda ispirazione dall’azione di Falcone e Borsellino, lo stesso spirito di emulazione non si può ascrivere alla società civile di Reggio Calabria più restia rispetto a quella palermitana a prendere una posizione netta. Per questo don Puglisi e l’imprenditore Grassi rappresentano oggi le “chiavi storiche” per aprirsi alla speranza del cambiamento. Sono dei testimoni «in prima persona», quindi nell’accezione greca del termine, sono Mártys, colui che testimonia in pubblico la sua scelta di vita. Il ridimensionamento del fenomeno ‘ndranghetistico, pertanto, deve pecorrere strade di equità sociale.

Oggettivamente qualcosa si sta già facendo: il protocollo “Liberi di scegliere” e il riavvio della campagna antiracket “ReggioLiberaReggio” sono dei segni inequivocabili al pari della presenza del ministro dell’Interno, Marco Minniti, al Santuario di Polsi. Segni che devono essere seguiti dai fatti: nonostante le inchieste a tappetto che hanno toccato tutti i mandamenti, i locali e le famiglie di ‘ndrangheta di Reggio Calabria sono ancora pochissime – ad esempio – le denunce per estorsione seppure si conclamato da atti investigativi come queste avvengano. Allo stesso modo sono sempre residuali le iniziative di dissociazione da parte di persone non direttamente coinvolti in fatti di mafia, ma a conoscenza delle dinamiche criminali, i cosiddetti “testimoni di giustizia”. Su questo punto ospitiamo in questi nostri approfondimenti odierni delle riflessioni portate da Nicola Gratteri sul peso specifico altissimo che stanno incarnando le donne di ‘ndrangheta. E allora da dove ripartire? Da ciò che don Pino Puglisi e Libero Grassi instillarono nella società di Palermo: solo la collettività può affrontare il delirio di onnipotenza mafioso. Ripartire dall’esempio e dall’educazione è, quindi, la grande sfida a cui è chiamata la Chiesa universale e locale che in modo inderogabile ha posto al centro della sua agenda la lotta alla submentalità mafiosa. A partire dai più giovani. Uno strumento sarà la nuova Commissione diocesana anti– ’ndrangheta: c’è attesa per conoscere chi ne farà parte, ma ancor più come opererà. Ma la Chiesa, la magistratura e le forze di polizia possono assolvere solo a due aspetti (confessionale e investigativo–repressivo) rispetto al contrasto alle cosche. Appare sempre più necessario, infatti, che vi sia un intervento strutturato delle associazioni di categoria e dei gruppi degli Industriali proprio secondo quanto testimoniato da Libero Grassi. In fondo per “parteggiare” (in questo caso stare dalla parte della Legge) non bisogna attendere le sentenze dei giudici, ma farsi un’idea su un sistema su cui ormai da oltre un decennio i migliori uomini dello Stato stanno lavorando alacremente. Così avviare una massiccia campagna antiracket – che parta proprio da un livello associativo degli imprenditori – vorrebbe dire liberare dal giogo della solitudine tutti quei commercianti e impresari costretti ad imbarcamenarsi in un contesto economico che mira decisamente all’isolamento e alla delegittimazione rispetto a quanti intendono rendersi estraneo alle logiche della ‘ndrangheta. In ultimo un sussulto è chiesto alla Politica. Essa dimostri con uno scatto di reni di essere immune dai condizionamenti mafiosi. Gli strumenti normativi non mancano al pari anche di “buone prassi” di azione amministrativa indipendente e scevra di interessi “parziali” (in questo caso dalla parte della malavita) riconosciute ed apprezzate dai cittadini. Bisogna, in sintesi, far comprendere – a più livelli – che essere onesti, paga.

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