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Si può tornare a produrre la seta a Cannitello? In questo articolo parliamo di una ambizione che sposa il passato e l'innovazione proprio nei luoghi un tempo fiorenti per la produzione della seta: Cannitello. «L’iter prevede una procedura moderna che non uccida il baco», ci spiegano gli eredi di un'antica tradizione industriale dell'area dello Stretto.
«Tutte le colline sopra Villa San Giovani erano piantate a gelso. Un terzo del territorio calabrese era costituito da gelseti. Lavorare la seta era una consuetudine familiare, anche all’interno delle famiglie» Inizia così il racconto di una delle storie più affascinanti del territorio di Villa San Giovanni. Protagonisti di questa storia gli architetti Antonino Cogliandro e Benedetta Genovese. Messinese di nascita e villese di adozione lei, con il marito ha avviato nel 2009 un progetto di recupero di una delle poche filande ancora fruibili in Calabria: la Filanda Fratelli Cogliandro, l’unico stabilimento industriale a Cannitello con ciclo di lavorazione completo.
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Vi era un’intera struttura che fungeva da bozzoliera e un’altra dove avveniva il processo di trattura della seta e della filatura, con la realizzazione del prodotto finito che veniva confezionato, etichettato ed esportato per il 90% in Francia.
Un tesoro prezioso che affonda le sue radici a metà dell’ottocento, quando Villa San Giovanni era uno tra i più importanti centri serici d’Italia, al punto da essere soprannominata la “piccola Manchester”, per via della fiorente attività serica della città inglese. Nel 1861 a Cannitello e Villa San Giovanni c’erano oltre 100 filande, la maggior parte distrutte dal terremoto del 1908.
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Al centro del lavoro di tessitura c’era il lavoro femminile. La mano d’opera era, infatti, composta interamente da donne: all’interno della filanda dei Fratelli Cogliandro lavoravano un centinaio di donne che trascorrevano le giornate lavorando e cantando.
È Giuseppe Cogliandro a fare da ponte tra il passato e il presente di questo luogo, con i suoi preziosi aneddoti. Classe 1933, il geometra Cogliandro ha voluto con tutte le forze che questo patrimonio storico culturale non andasse perso. «Quando hanno costruito il doppio binario della Ferrovia, chiesero a mio padre di vendere, ma lui non volle. Ho seguito il suo esempio, rinunciando ad altre proprietà per lasciare questi locali, che poi erano ruderi, ai miei figli» racconta Giuseppe.
Ruderi con un’anima, che oggi sono diventati un luogo di incontro, di confronto, di commistione, che si sposano con l’entusiasmo e la visione dei suoi figli e che legano indissolubilmente il futuro della filanda Cogliandro al suo valore storico. «Qui dentro abbiamo dato fondo a tutte le nostre risorse economiche e professionali partendo prima di tutto da un tipo di restauro conservativo. Intervento che ha consentito l’avvio recente del procedimento, da parte della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio
Calabria e la provincia di Vibo Valentia, per sottoporre il bene a vincolo specifico» racconta Antonino Cogliandro. L’obiettivo è quello di creare uno spazio polifunzionale per ospitare mostre, eventi e rassegne culturali, uno spazio ristorazione e uno spazio museale, dedicato ad attività laboratoriali ed esperienziali. Il progetto ambizioso è parzialmente avviato e parte da un esperimento, quello che ha permesso a Benedetta Genovese di avviare un allevamento di bachi da seta.
«Ho studiato, ho fatto un corso di bachicoltura ed ho realizzato l’allevamento proprio su questo tavolo con le foglie di gelso di questo albero» racconta volgendo lo sguardo all’unico albero di gelso, simbolo e concretezza di questo luogo. I risultati sono stati sorprendenti. Il timore della famiglia Cogliandro era infatti che l’inquinamento avesse compromesso definitivamente questa potenzialità, dal momento che i bachi da seta, si nutrono esclusivamente di foglie di gelso.
«Invece, quasi tutti i bachi si sono imbozzolati e hanno completato il ciclo vitale. Questo ci ha permesso anche di valutare la qualità dell’aria della nostra città, ancora buona». Continua Benedetta Genovese. Si può tornare a produrre la seta a Cannitello? Il progetto prevede di realizzare una seta pacifica, che non uccide il baco da seta. Una lavorazione molto diversa da quella che si faceva nelle filande, ma più sostenibile. Il futuro riguarda la produzione setica biologica che coinvolge tutto il settore medico e cosmetico, grazie alla sericina, la proteina della seta prodotta dal baco di seta. Una rinascita, quella della filanda, che riparte dalle professionalità e dalle ricchezze di questo territorio.
Un codice telegrafico per mantenere segreto il prezzo del bozzolo del baco da seta. A raccontare il funzionamento perfetto di questo prezioso libretto è Giuseppe Cogliandro.
«Per ottenere la quantità di bozzoli necessaria per far funzionare le filande e produrre la seta era necessario l’intervento di acquisto che avveniva su tutto il territorio della Calabria e in parte anche della Sicilia.
E allora sono stati istituiti dei servizi con dei compratori nelle varie zone, specialmente quelle interne alle tre province, che allora erano Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza. C’erano in giro queste persone che avevano il compito di recarsi nei gelseti e acquistare le quantità di bozzoli richieste.
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Dal momento che c’erano diverse filande a Cannitello e a Villa San Giovanni, i filandieri di Cannitello, per tutelare l’aspetto concorrenziale e non far conoscere agli altri filandieri il prezzo di acquisto della propria filanda, avevano impostato questi codici telegrafici».
«Conteneva delle parole che corrispondevano a frasi commerciali, anche molto lunghe. Ad esempio: la parola “dedica” corrispondeva alla frase “lasciate comprare
gli altri”. In questo codice telegrafico il filandiere inseriva poi il prezzo che era disposto a spendere per l’acquisto del bozzolo. Una copia di questo libretto, di questo codice telegrafico, veniva poi consegnato al compratore che riceveva via telegramma la parola segreta».
«Esatto. Un codice cifrato che permetteva di mantenere da una parte segreto il prezzo di acquisto del bozzolo, dall’altra un notevole risparmio economico. Le comunicazioni tra filandieri e compratori, avvenivano, infatti, via telegramma e in questo modo si potevano comunicare intere frasi, inserendo e pagando una sola parola. “La rosa è rossa” corrispondeva al prezzo che potevano loro comprare. La rosa è rossa significava “compra il bozzolo a due lire”».
Il codice telegrafico fa parte dell’archivio dell’Associazione Cogliandro e sarà inserito nella collezione museale di prossima apertura.
La storia della Filanda Mellinghoff è strettamente intrecciata con l’evoluzione dell’industria della seta a Messina. Originariamente costruita come parte di una rete di filande sparse per la città, la struttura rappresentava uno dei punti focali dell’economia tessile messinese. Il commerciante Friederich Wilhelm Mellinghoff approdò a Messina all’inizio del 1900.
Inizialmente proprietario di una società di importazioni ed esportazioni, successivamente si dedicò all’industria manifatturiera, acquisendo la filanda situata nell’ex monastero di San Salvatore dei Greci. La filanda Mellinghoff, insieme ad altre sparse in città, simboleggiava l’importanza dell’industria della seta a Messina nel corso dei secoli. La lavorazione della seta, introdotta dagli Arabi e sviluppatasi nel corso dei secoli grazie ai Normanni, agli Svevi e agli Aragonesi, era, infatti, una delle attività commerciali trainanti per Messina fino al XV secolo.
Con l’espulsione degli Ebrei dall’intera Sicilia nel XV secolo, il commercio della seta subì una battuta d’arresto significativa, dal momento che essi detenevano il monopolio del settore. Fu solo sotto il dominio spagnolo, nel XVI secolo, che la produzione della seta riprese, consentendo alla città di continuare a trarre benefici da questo commercio fino al XVII secolo.
Oggi, l’ex Filanda Mellinghoff, restaurata e utilizzata come spazio espositivo per mostre d’arte contemporanea temporanee, testimonia il passato industriale glorioso di Messina. Parte integrante del nuovo Museo interdisciplianre regionale di Messina (MuMe), inaugurato nel 2016, offre un’ampia panoramica della storia della città, compresi gli eventi cruciali come il terremoto del 1908.
Settecentocinquanta le opere esposte, ripercorrendo un arco temporale che va dalla fondazione della città di Messina fino agli inizi del XX secolo. Celebre per le sue preziose collezioni d’arte, che includono opere di rinomati artisti come Antonello da Messina e Caravaggio, il MuMe offre ai visitatori un’esperienza cronologica attraverso le varie epoche artistiche, mettendo in evidenza la ricchezza e la diversità della cultura e dell’arte di Messina nel corso dei secoli.
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