Avvenire di Calabria

Una scrittura che attraversa il dolore, sfida le illusioni e scova la verità nel quotidiano

Il linguaggio tagliente della Grazia

Flannery O'Connor: fede, malattia e il sacro realismo a 100 anni dalla nascita

di Francesca Crisarà

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A 100 anni dalla sua nascita, ecco Flannery O’Connor, fermata, alla soglia dei 40 anni, da un lupus eritematoso sistemico con cui ha convissuto, dai 25 anni in poi, insieme agli amatissimi polli e pavoni. «Non sono mai stata altrove che malata. In un certo senso la malattia è un luogo, più istruttivo di un lungo viaggio in Europa, un luogo dove non trovi mai compagnia, dove nessuno ti può seguire».



Questa la sua vita: uccelli colorati da educare come bambini, parole come pietre per costruire storie, relazioni amicali essenziali. Dentro tutto ciò, il perno della fede in Cristo. Scrittrice, troppo cattolica e troppo inquietante, sfugge a qualsivoglia categorizzazione. È suo convincimento che compito dello scrittore non sia arrampicarsi sul pulpito delle proprie pagine per sentenziare, ma «restituire con gli interessi il [proprio] talento al Dio invisibile affinché ne disponga come meglio crede».


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Attraverso le sue storie si entra nel territorio del diavolo, nella realtà che porta l’incancellabile segno del Peccato Originale. E mentre i suoi personaggi oscillano tra grigia normalità e abiezione morale, il tono narrativo si impenna in una sorta di estetica del disturbo attraverso cui la scrittrice scuote improvvisamente le acque del racconto e abbaglia con una luce imprevista il lettore che resta lì, incredulo, privo di consolazione: Flannery non solidarizza mai con chi la legge. Spesso i protagonisti delle sue storie sono delle brave e caritatevoli persone, che si impietosiscono delle altrui disgrazie e che cercano di salvare il mondo. Protese in un impegno di carità salvifica, portano le stigmate della cieca presunzione.

Come avviene nello splendido «Gli storpi entreranno per primi», in cui troviamo una narrazione piana, una descrizione realistica, conflitti che montano progressivamente come una marea destinata a diventare esplosiva, il flash abbagliante che squinterna ogni possibile previsione lasciando solo desolazione. Cosa c’è di cattolico in tutto ciò? Forse l’idea che l’amore fraterno è una virtù che non può essere praticata con un occhio all’altro e un occhio al proprio ego; che non c’è narcisismo nella carità; che siamo tutti legno storto dell’umanità. Un messaggio duro come dura è la lingua e la scrittura di questa giovane donna pronta allo scatto indignato che le fa dire che, se l’ostia è un simbolo, «che vada al diavolo».

Ecco il suo sacro realismo (la sacralità del reale: l’Eucaristia non è un simbolo di Cristo ma è essa stessa Cristo); la sua insofferenza per i giochi intellettuali; il suo linguaggio tagliente che non indugia mai in carinerie ipocrite. Quali i suoi riferimenti? Tommaso d’Aquino, la cui Summa è lettura quotidiana. Ed ancora, monsignor Guardini, Edith Stein e Simone Weil. Nelle due filosofe riconosce la sua stessa natura, che si alimenta di ragione e fede. Come dietro quell’uccellino sparuto dagli occhiali spessi (Simone Weil) arde la passione del sacro, così in Flannery, sbilenco fenicottero, brucia la passione per il Cristo vivo e l’indignazione per ogni forma di menzogna e vuota convenzione: la Chiesa è il luogo della Redenzione e, se non lo fosse, finirebbe col diventare «uno dei tanti Circoli dell’Alce».

Ancora un punto di riferimento, Teilhard de Chardin, la cui lettura consiglia agli amici e la cui influenza si manifesta in quel Everything that rises must converge, frase del gesuita paleontologo, che rimanda a un’ipotesi che Flannery condivide appieno: la convergenza di ogni contraddizione in Dio, il Punto Omega, che dà in italiano il titolo a un suo racconto dalla conclusione drammatica e salvifica. Il protagonista e la madre (l’antagonista) sperimentano qualcosa di straordinario: attraverso l’esperienza della morte inaspettata realizzano l’improvvisa comprensione che un attimo di grazia può rendere finalmente tutto chiaro e sciogliere i nodi dell’incomprensibile.



Certa nella fede e dubbiosa nel procedere umano, Flannery rimane fino alla fine una piccola grande lottatrice. Come da bambina immaginava di scazzottare con il proprio angelo custode, da adulta ha continuato la sua lotta proprio come Giacobbe che si è scontrato con l’angelo del Signore riportandone incancellabile segno. Più la fede è viva, più è dinamica; più è salda, più è inquieta. La Grazia trova luogo proprio in quello scontro tra ricerca e dubbio per lasciare il segno del dolore e della gioia; di certo della salvezza.

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