Avvenire di Calabria

La lettura "sociale" dell'enciclica di papa Francesco dallo sguardo attento di don Antonino Pangallo (QUINTA PARTE)

"Fratelli Tutti", un cuore aperto al mondo intero

Antonino Pangallo

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Simmel ha scritto che «l’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (150). Il quarto capitolo della Fratelli tutti scava nelle due dimensioni essenziali dell’essere umano: il bisogno di spazi delimitati e l’interazione con la ricchezza poliedrica del mondo intero; particolare ed universale, locale e universale. Sta diffondendosi il termine «glocale» per indicare l’interazione reciproca. In Caritas si parla di «educazione alla mondialità».
Nell’orizzonte della fraternità universale, l’enciclica affronta il tema del fenomeno migratorio sicuramente ridotto se ogni popolo avesse opportunità dignitose di sviluppo. Il diritto a migrare, dunque, va garantito. Chi parte cerca vita e può portare vita. Siamo cittadini del mondo di fronte al limite delle frontiere, spesso divenute muri. La via da seguire è quella di accogliere, proteggere, promuovere ed integrare. Chi arriva deve avere giusta protezione e chi accoglie (le comunità locali) vanno preparate, attraverso processi di cittadinanza attiva che, superando chiusura o omologazione, favoriscano autentica integrazione.
Vi sono dei doni reciproci nell’interscambio culturale delle migrazioni. Cedere alla reazione della chiusura può far cadere nella sclerosi culturale (134). L’accoglienza di una persona diversa va di pari passo con la possibilità che la stessa si esprima, trasfondendo la propria cultura in quella di arrivo. Tale dialogo paziente e fiducioso è generativo, anche se gravido di tensioni come lo è un parto.
Qui va riscoperta la gratuità. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt10,8) ha detto Gesù. La vera qualità di un paese è data nella capacità di pensarsi come parte della famiglia umana e di scommettere sulla positività dell’apertura gratuita senza interessi, oltre una visione utilitaristica. Ci sono alcuni paesi che «pretendono di accogliere solo gli scienziati e gli investitori» (139).
L’universale ed il particolare devono coesistere. Senza la dimensione globale c’è il rischio di cadere nella «meschinità quotidiana». Se si perde di vista ciò che è locale rischiamo di «non camminare con i piedi per terra».
Quanto risuonano valide le seguenti affermazioni nel diffondersi della chiusura intimistica: «Quando la casa non è più famiglia, ma è recinto, cella, il globale ci riscatta perché è come la causa finale che ci attira verso la pienezza. Al tempo stesso, bisogna assumere cordialmente la dimensione locale, perché possiede qualcosa che il globale non ha: essere lievito, arricchire, avviare dispositivi di sussidiarietà. Pertanto, la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Separarli conduce a una deformazione e a una polarizzazione dannosa» ( 142).
Vi è una globalizzazione falsa, spesso massificante e desiderosa di imporre omologazione. Vi è, altresì, un localismo gretto che alza trincee, pensando di difendere l’identità, fino a divenire un museo folkloristico di eremiti localisti (142). La soluzione è favorire il meticciato.
I narcisismi localistici non rivelano un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura, ma nascondono uno spirito chiuso per insicurezza e timore verso l’altro. Si può rimanere prigionieri del proprio piccolo mondo: «una persona, quanto minore ampiezza ha nella mente e nel cuore, tanto meno potrà interpretare la realtà vicina in cui è immersa. Senza il rapporto e il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di sé stessi e della propria terra, poiché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana» (147).
Qualcuno obietterà che non possiamo svendere la nostra identità ma «una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. Infatti, arricchendosi con elementi di diversa provenienza, una cultura viva non ne realizza una copia o una mera ripetizione, bensì integra le novità secondo modalità proprie. Questo provoca la nascita di una nuova sintesi che alla fine va a beneficio di tutti, poiché la cultura in cui tali apporti prendono origine risulta poi a sua volta alimentata»(148).
Il processo sarà favorito dall’interscambio regionale sulla scia del «buon vicinato», «dove ognuno sente spontaneamente il dovere di accompagnare e aiutare il vicino… si vivono i rapporti di prossimità con tratti di gratuità, solidarietà e reciprocità, a partire dal senso di un “noi” di quartiere» (152).
Tale collaborazione con i paesi vicini va incoraggiata, dinanzi ai grandi poteri che traggono profitto dall’isolamento, facendo del ‘dividi e comanda’ il lasciapassare per nuove forme di schiavitù: «Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione» (153). Il mondo ha bisogno di riscoprire le parole di Simmel: «L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (150).

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