Avvenire di Calabria

Il tema della genitorialità in carcere rappresenta una delle sfide più delicate nel contesto della tutela dei diritti dei detenuti. In Calabria, le difficoltà non mancano ma anche le buone prassi

Genitori detenuti, l’ex garante della Calabria: «Serve tutelare i legami familiari, il modello Laureana un esempio»

Dall'importanza degli spazi adeguati per i colloqui ai servizi di supporto psicologico e sociale: le proposte dell'avvocato Luca Muglia per garantire la tutela dei figli di madri e padri reclusi

di Francesco Chindemi

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Nel contesto della tutela dei diritti dei detenuti, emerge spesso il ruolo della genitorialità e delle difficoltà che i genitori reclusi devono affrontare nel mantenere un legame con i figli. «La situazione riscontrata in Calabria è simile a quella di altre regioni, ma le difficoltà sono diverse», spiega l’avvocato Luca Muglia, fino a poche settimane fa Garante dei diritti dei detenuti calabresi.

Nel contesto della tutela dei diritti dei detenuti, emerge spesso il ruolo della genitorialità e delle difficoltà che i genitori reclusi devono affrontare nel mantenere un legame con i figli. Qual è la situazione in Calabria?

La situazione riscontrata in Calabria è simile a quella di altre regioni, le difficoltà sono diverse. Le criticità riguardano, da un lato, il diritto ad esercitare le funzioni genitoriali durante il periodo di detenzione e, dall’altro, l’idoneità dei luoghi in cui si incontrano i figli minori d’età e la lontananza rispetto alla dimora dei familiari.



Nei due anni in cui ho esercitato le funzioni di Garante regionale ho ricevuto svariate segnalazioni, intervenendo nei casi in cui appunto si lamentava l’impossibilità di mantenere un legame affettivo continuativo con i propri figli. Talvolta, peraltro, si trattava di minori affetti da patologie alquanto delicate.

La proposta di istituire una sezione femminile nel carcere di Laureana di Borrello come potrebbe influire sulla tutela dei diritti delle madri detenute e sul mantenimento del rapporto madre-figlio?

Beh, potrebbe influire e come. Il “modello Laureana” è fortemente innovativo sotto il profilo trattamentale, formativo e rieducativo, ma non solo. Nell’istituto a custodia attenuata di Laureana, infatti, ha trovato attuazione per la prima volta in Italia il progetto "genitori dentro”, rivolto ai detenuti con prole di età non superiore ai 16 anni. In tale contesto è stato realizzato un confortevole ed ampio monolocale in legno che ricorda la “Casa” (nella foto la Casa dell'affettività, ndr). Si tratta di un ambiente dedicato e attrezzato a misura di bambini e bambine in cui le persone detenute, secondo prestabilite turnazioni, possono incontrare i propri cari con il solo controllo delle telecamere. In altre parole, una sala per i colloqui a dimensione umana, che manca nella maggior parte degli istituti penitenziari italiani.

Le linee guida sul tema da lei indicate evidenziano l’importanza di un accesso effettivo a percorsi di sostegno per detenute madri e detenuti padri. Quali strumenti o servizi reputa indispensabili affinché la genitorialità possa essere esercitata anche in un contesto carcerario?

Occorre aprire una breccia, con le Linee guida “Carcere e genitorialità” emanate nei mesi scorsi ho provato a farlo. Gli strumenti da utilizzare hanno come obiettivo primario quello di prevedere ed agevolare l’ingresso in carcere di personale specializzato (Servizi sociali, Consultori familiari, Uepe, consulenti tecnici, periti) in grado di attivare misure efficaci di sostegno alla genitorialità.


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Oltre ad incidere sulla qualità delle funzioni genitoriali ciò faciliterebbe il percorso riabilitativo delle persone recluse, fornendo quel “quid in più” che spesso può essere determinante o addirittura decisivo.

I figli di genitori detenuti affrontano sfide e stigmatizzazioni uniche. Quali azioni propone per assicurare che questi minori ricevano supporto emotivo e sociale adeguato, evitando discriminazioni e promuovendo il loro benessere?

Il problema è innanzitutto culturale, mi riferisco allo stigma e all’etichetta sociale che colpisce i nuclei familiari e, in particolare, le persone minori d’età. Parliamo di personalità fragili e ancora in formazione che si ritrovano a fare i conti con il giudizio collettivo, quasi sempre crudele e spietato, oltre che con la detenzione del papà o della mamma. Esiste poi un problema di “risorse” da mettere in campo, in Calabria la carenza di personale nel settore dell’assistenza familiare e psicosociale è sotto gli occhi di tutti. Il carcere diventa, giocoforza, un luogo da evitare.

La sua esperienza di Garante regionale dei diritti delle persone detenute si è conclusa da poco tempo. Guardando al lavoro svolto e ai progressi fatti in tema di diritti nei contesti penitenziari, cosa auspica?

Sono stati anni di grande lavoro ed intensità, penso che siano stati fatti passi in avanti e che il sistema penitenziario abbia beneficiato di una interlocuzione istituzionale essenziale. Le persone recluse, tuttavia, stanno vivendo un momento di “emergenza umanitaria”, sono provate e svilite, e ciò anche in Calabria. In Italia sono diventati 80 i suicidi in carcere nel 2024, un record negativo senza precedenti, tutto italiano. 



Alla limitazione della libertà personale si aggiungono “privazioni” importanti, di diritti e/o prestazioni minime, che finiscono per ledere la dignità e per generare un clima invivibile. È una sensazione ormai palpabile che assale ed investe l’intera comunità del pianeta carcere, come dimostrano i 7 suicidi nel 2024 di appartenenti alla Polizia penitenziaria. Di carcere, purtroppo, si continua ogni giorno a morire, nell’indifferenza generale. 

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