Avvenire di Calabria

Calabria sepolta dai pregiudizi? La colpa è forse di una miopia dei grandi media nazionali

I «pigri pregiudizi» dei giornalisti nazionali sulla Calabria

Nunnari cita Umberto Eco parlando di "razzismo" culturale sottaciuto e mai realmente affrontato

di Redazione Web

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Calabria sepolta dai pregiudizi? La colpa è forse di una miopia dei grandi media nazionali. Nunnari cita Umberto Eco parlando di "razzismo" culturale sottaciuto e mai realmente affrontato.

Pregiudizi sulla Calabria, giornalisti troppo «pigri»?

di Mimmo Nunnari - Sin dall’inizio della vicenda storica italiana il racconto del Sud da parte dei giornali ha prodotto frutti avvelenati e contribuito a rinchiudere il Mezzogiorno dentro recinti in cui più facilmente si è sviluppato il male che, in alcuni ben determinati territori, ha impedito lo sviluppo e il prevalere del bene.

In pochi altri paesi europei oltre che l’Italia il pregiudizio ha avuto la deleteria funzione di rimozione della questione della divisione di un Paese in due territori, vizio d’origine causa della nascita malcerta della nazione: «Se lo stivale è spezzato, e soprattutto se è rimasto spezzato, non è un caso, ma frutto di scelte miopi, di interessi, di approssimazione e velleitarismo», ha scritto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, nella prefazione al mio recente libro “Lo Stivale spezzato” (San Paolo edizioni).

Il pregiudizio (cit. diz. Oxford: «Opinione preconcetta, capace di fare assumere atteggiamenti ingiusti specialmente nell’ambito del giudizio o dei rapporti sociali») è un fenomeno insopportabile, in quanto ha l’effetto perverso di generare avversione contro chi si ritiene sia diverso da noi.

Lo hanno sperimentato sulla loro pelle i meridionali emigrati nel Nord Italia e all’estero, esclusi maltrattati, spesso costretti a vivere in condizioni disumane, animalesche.

Nell’appendice a un’edizione speciale destinata alle scuole del famoso libro “Se questo è un uomo”, Primo Levi scriveva che «perché il fenomeno del pregiudizio insorga occorre che esistano differenze fisiche percettibili, come ad esempio tra i neri e i bianchi, i bruni e i biondi, ma - aggiungeva con amarezza - la nostra complicata civiltà ci ha resi sensibili a differenze più sottili, quali la lingua o il dialetto o addirittura l’accento.

Lo sanno bene i meridionali costretti a lavorare al Nord». Quello in particolare dei giornali, che ha alla base il pregiudizio, ma anche l’ignoranza, è una specie di antimeridionalismo che appare e scompare va e viene morde e fugge secondo le convenienze del momento.

C’è un tipo di giornalismo molto diffuso (che prevale) che ha creato artificiosamente l’immagine del Sud paradiso abitato da diavoli, di inferno da evitare e dal quale non si esce. Questo regno di dannati meridionali lo ha raccontato decenni fa Giorgio Bocca nel molto discusso libro “L’inferno, profondo Sud, male oscuro”.

Bocca è stato un grande cronista, ha scritto da tante periferie del mondo, e molto anche del Sud dell’Italia, tanto che poi ci ha fatto un libro.


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Voleva capire il giornalista, ma non c’è riuscito e tuttavia nel suo caso l’onestà professionale è sempre stata fuori discussione. Concludeva i suoi reportage, chiedendosi «per chissà mai quale peccato originale, quali orgogli, quale maledizione della storia, quale fatalità geografica, non si è mai riusciti a fare dell’Italia un paese veramente unito».

La questione e non riguarda solo Giorgio Bocca, è che qualunque racconto del Sud non accompagnato da un’analisi attenta dei fattori degenerativi che si sono innestati nel tessuto sociale del Sud rischia di diventare se non proprio falso quantomeno qualcosa di non credibile.

Generalmente - anche oggi - dal bizzarro montaggio di parole e immagini dei giornali e delle televisioni emerge un paesaggio umano meridionale degradato e scomposto e affiora per automatismo uno scenario falso, che oscura le qualità della gente, la natura e la bellezza dei luoghi.

La tecnica di questo metodo mediatico odioso e discriminante l’ha spiegata Umberto Eco nel romanzo “Numero Zero”, libro nel quale fa dire ad uno dei personaggi, un giornalista: «Lo so che si è sdottorato sul fatto che i giornali scrivono sempre operaio calabrese assale il compagno di lavoro, e che si tratta di razzismo, ma immaginate una pagina in cui si dicesse operaio cuneese eccetera eccetera, pensionato di Mestre uccide la moglie, edicolante di Bologna si uccide, muratore genovese firma un assegno a vuoto; che cosa gliene importa al lettore dove sono nati questi tizi? Mentre, se stiamo parlando di un operaio calabrese, di un pensionato di Matera, di un edicolante di Foggia, o di un muratore palermitano, allora si crea preoccupazione intorno alla malavita meridionale e questo fa notizia».

Anche in questo Eco ha dimostrato di essere maestro, spiegando a quali perversi metodi la stampa ricorre nella narrazione del Sud.

Le parole di Papa Francesco sull'essere buoni comunicatori

«Parlare con il cuore. Veritatem facientes in caritate» (Ef 4,15) è il tema che Papa Francesco ci consegna per la 57esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che verrà celebrata il 18 maggio 2023. Il tema – riporta una nota della Sala Stampa Vaticana – si collega idealmente a quello del 2022, “Ascoltare con l’orecchio del cuore”, e vuole inserirsi in particolare nel cammino che condurrà tutta la Chiesa alla celebrazione del Sinodo di ottobre 2023.

Parlare con il cuore significa «rendere ragione della speranza che è in noi» e farlo con mitezza, utilizzando il dono della comunicazione come un ponte e non come un muro. In un tempo contraddistinto – anche nella vita ecclesiale – da polarizzazioni e dibattiti esasperati che esacerbano gli animi, siamo invitati ad andare controcorrente – prosegue la nota. Non dobbiamo – dunque- temere di affermare la verità, a volte scomoda, che trova il suo fondamento nel Vangelo ma non dobbiamo disgiungere questo annuncio da uno stile di misericordia, di sincera partecipazione alle gioie e alle sofferenze dell’uomo del nostro tempo, come ci insegna in modo sublime la pagina evangelica che narra il dialogo tra il misterioso Viandante e i discepoli di Emmaus.

Oggi, nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo, è quanto mai necessario – è l’appello di Papa Francesco – l’affermarsi di una comunicazione non ostile. Una comunicazione aperta al dialogo con l’altro, che favorisca un “disarmo integrale”, che si adoperi a smontare “la psicosi bellica” che si annida nei nostri cuori, come profeticamente esortava San Giovanni XXIII, 60 anni fa nella Pacem in Terris. È uno sforzo che è richiesto a tutti, ma in particolare agli operatori della comunicazione chiamati a svolgere la propria professione come una missione per costruire un futuro più giusto, più fraterno, più umano.


PER APPROFONDIRE: Click baiting e la deriva dell’etica del giornalismo (o ciò che ne rimane)


Verso la Giornata mondiale per le Comunicazioni sociali

«Essenziale è un aggettivo molto interessante per chi si occupa di comunicazione. Oltre a richiamare all’essenza delle cose, cioè alla loro radice prima, diventa stimolo a non perdere mai di vista l’efficacia del proprio comunicare. E questo non per raggiungere facilmente il consenso intorno alle proprie idee, ma per coerenza interiore ed esteriore tra il pensiero e il vissuto. Una comunicazione essenziale è sempre efficace. L’essenzialità è una regola aurea, che spinge ad andare controcorrente: in un tempo in cui parole e immagini diventano sempre più invasive e corrosive, c’è bisogno di intimità, di calore. Di quella linfa che sgorga dal cuore, abbatte le barriere ed entra in profondità».

Lo scrive Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, a commento del tema scelto da Papa Francesco per la 57esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali “Parlare col cuore: Veritatem facientes in caritate”. Corrado osserva che «c’è un legame naturale e spontaneo con il messaggio dello scorso anno» – “Ascoltare con l’orecchio del cuore” – perché «l’ascolto dovrebbe precedere sempre la parola e, se è vero e sincero, aiutare a misurare quest’ultima».

«Immersi nelle preoccupazioni quotidiane, gravate dalla crisi e da una guerra che coinvolge tutti, “parlare col cuore” diventa monito per guardare all’essenziale, a ciò che veramente permette di costruire un futuro di pace», conclude Corrado: «Il valore della comunicazione passa per la porta stretta dell’essenzialità».

La Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali è l’unica giornata istituita dal Concilio Vaticano II. La relativa disposizione è contenuta nel paragrafo 18 del decreto Inter Mirifica: «Al fine poi di rendere più efficace il multiforme apostolato della Chiesa con l’impiego degli strumenti di comunicazione sociale, ogni anno in tutte le diocesi del mondo, a giudizio dei vescovi, venga celebrata una “giornata” nella quale i fedeli siano istruiti sui loro doveri in questo settore, invitati a speciali preghiere per questo scopo e a contribuirvi con le loro offerte. Queste saranno debitamente destinate a sostenere le iniziative e le opere promosse dalla Chiesa in questo campo, secondo le necessità dell’orbe cattolico».

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