Avvenire di Calabria

Un «antibattesimo» di crudeltà che prepara il nuovo affiliato alla vita nell’associazione criminale

Il battesimo mafioso è antievangelico: i clan scimmiottano i riti

Redazione Web

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Uno dei capitoli del sussidio diocesano per la pastorale battesimale, straordinario strumento di supporto pastorale che ha visto un anno fa nell’ardiocesi di Reggio Calabria, è incentrato sull’uso distorto del termine “battesimo” in ambito mafioso. Riti che scimmiottano i sacramenti cristiani adattandoli a un «antibattesimo» di crudeltà che prepara il nuovo affiliato alla vita nell’associazione criminale. A questo proposito, abbiamo ascoltato il componente della commissione Giustizia e Pace della diocesi e sostituto procuratore della Dda reggina, Roberto di Palma, da tantissimi anni impegnato in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata.

«Partiamo dalla premessa: la ‘ndrangheta ha bisogno di consenso popolare. Lo capiamo dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. Proprio per questo – ha detto Di Palma – i clan hanno cercato di “rubare” allo Stato le funzioni di controllo del territorio. Alla Chiesa , invece, ha scimmiottato valori e riti, proprio per legittimarsi, per apparire agli occhi della popolazione come prescelti. Questo spiega anche le ingerenze nelle feste patronali».

Prosegue il magistrato: «In questo percorso di “furto” dei valori, la ‘ndrangheta si è persino impossessata del termine “cristiano” proprio per proiettare all’esterno l’immagine dell’uomo che difende cose come la casa, la famiglia…tutte cose che le mafie hanno pervertito a proprio uso e consumo per fini propagandistici. Persino nel lessico della ‘ndrangheta vi sono espressioni che non avrebbero senso se separate dalla cultura cristiano– giudaica, come per esempio il verbo «camminare», che per l’uomo di fede significa seguire le regole di Dio, per l’uomo dei clan, ovviamente, significa seguire le regole della ndrangheta». E il battesimo cosa c’entra?

«Anche per i clan, la versione pervertita del Sacramento del Battesimo è una sorta di iniziazione, pedissequamente copiata dal nostro rito cristiano. Anche nel battesimo di mafia – sottolinea il pm – vi è un celebrante, vi è il Vangelo, tenuto quasi a sigillo della “sacralità del momento, vi è il padrino e la “madrina”, che ovviamente non è una donna ma un altro uomo già affiliato. I “padrini” sono coloro che presentano il “battezzato” alla comunità di ‘ndrangheta e contestualmente assumono quella proprietà di “compare”. Più che un compare, qui si richiama in maniera forte la figura del garante nelle prime comunità cristiane: nel battesimo mafioso, il “padrino” dà la garanzia che il nuovo adepto segua le regole dell’organizzazione».

Dietro questi riti c’è un fine pratico ma di certo anche simbolico. «Certamente: la ‘ndrangheta ha tutto l’interesse ad ammantare di mistero e solennità i propri appartenenti. E il tutto si ottiene anche attraverso simbologie che scimmiottano e deformano quelle cristiane. Per esempio il fuoco, che nel cristianesimo, asseieme all’acqua, rappresenta lo Spirito Santo. Gli ‘ndranghetisti lo usano all’interno del rito, bruciando un’immaginetta, solitamente di San Michele Arcangelo, proprio per dare l’idea di questo “fuoco sacro” che pervade il nuovo affiliato che si impegna a seguire il codice dei clan. Tutto questo può essere sintetizzato. È la grande truffa della ‘ndrangheta – conclude Roberto Di Palma – che carpisce la pietà popolare, l’ignoranza della gente e la mancanza di identità di tanti giovani e pone loro davanti all’unica prospettiva che posso dar loro: un baratro senza fine».

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