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C’è aggettivo qualificativo che identifica subito Alex Zanardi: coraggioso. È la prima parola che viene in mente quando si sente nominare il poliedrico atleta bolognese. Ma, sia chiaro, Alex è coraggioso non perché nella sua vita da pilota di macchine da corsa, ha affrontato la sfida dell’altissima velocità senza paura, bensì perché – al contrario – non ha accettato di rimanere fermo, immobile, anche dopo il terribile incidente del 15 settembre 2001 a Lausitzring. Il pilota automobilistico, ripensando a quanto accaduto sul circuito tedesco e poi in ospedale, spesso affermava: «Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa. Non pensare a cosa non hai, pensa a cosa puoi fare grazie a quello che hai».
Chissà quali saranno stati i pensieri di Zanardi durante quella curva a Pienza, quando ha capito che stava andando a sbattere contro un Tir durante una corsa in handbike. Ancora, di nuovo, la stessa tragedia. Zanardi ha avuto il coraggio di continuare a correre dopo un violento stop imposto da forze maggiori, non ha mai staccato la spina della passione per lo sport, ha soltanto cambiato tipologia di agonismo.
Ma, soprattutto, ha avuto la straordinaria capacità di trovare motivazione dopo una disgrazia, restando sempre un uomo schivo ed umile: «Non volevo dimostrare niente a nessuno, la sfida era solo con me stesso, ma se il mio esempio è servito a dare fiducia a qualcun altro, allora tanto meglio».
Si, probabilmente il suo esempio ha dato fiducia a molti altri. Ed è paradossale che oggi, nell’epoca in cui la tecnologia permette di restituire le gambe a chi le ha perse, uno dei mali che affligge i giovani sia la cherofobia. Letteralmente significa “paura di essere felici”. Ma non bisogna farsi ingannare dal significato letterale, non si tratta del timore della felicità in quanto tale, ma che questa non duri abbastanza, che sia tanto breve quanto illusoria. C’è bisogno del coraggio di Alex per sconfiggere e fermare la paura del vuoto, anche del vuoto di senso. L’esempio di Zanardi, il suo coraggio, sono utili soprattutto a chi pensa di non avere nulla e invece ha tanto, a chi resta immobile perché crede che la propria vita sia inutile, e invece sta sprecando occasioni, talenti, attimi ed emozioni.
Una vita fragile vale forse meno di una vita apparentemente forte? Zanardi ha trovato forza anche nella sua fede in Dio. Una relazione matura, non superficiale: «Non ho mai chiesto a nostro Signore di aiutarmi per problemi in cui potevo cavarmela da solo, ma ci sono stati dei momenti di confronto in cui sono certo di essere stato ascoltato… ». Cercare questi momenti di «confronto » è essenziale per la vita di fede, anche quando i fatti dell’esistenza sembrano proiettarci verso il buio, quando sarebbe più facile dire “Dio non c’è”, piuttosto che fermarsi e chiedere “Dio, cosa mi stai chiedendo adesso?”. «Non è mai troppo tardi, si dice. Ma non è vero: prima o poi il tempo finisce. E che sia nello sport o in qualunque altro campo c’è gente a cui la vita passa davanti senza che se ne renda conto ». Questa consapevolezza di Zanardi è un contagioso invito ad agire, è antidoto efficace contro la rassegnazione, la lamentela nelle quali spesso affoghiamo il nostro entusiasmo. Davanti all’esempio dell’atleta bolognese, forse capiamo quanta vita abbiamo sprecato quando non siamo stati pronti a fare la nostra parte, o quando abbiamo preferito la rinuncia del disimpegno alla strada della responsabilità. La coraggiosa testimonianza di Zanardi ci viene offerta come un invito e un monito, è una pagina straordinaria che – ancora una volta – dimostra l’irrealtà della «cultura dello scarto».
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