Avvenire di Calabria

I tre seminaristi di Reggio Calabria hanno lasciato la diocesi di Moramanga dove sono stati ospiti di don Claudio Roberti

Il ritorno dal Madagascar: «Ogni viaggio è un pellegrinaggio»

Redazione Web

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di Michele D’Agostino * - “Ogni viaggio è un pellegrinaggio!” E’ lo slogan di E. Jünger che esprime una condizione dell’uomo di ogni tempo: la vita viene spesso rappresentata con la metafora di un viaggio che l’uomo intraprende verso una meta lontana e misteriosa. Il desiderio di partire, la ricerca del centro, il ritorno alla patria, l’ascesa del monte o la discesa negli inferi, il passaggio del fiume o degli oceani, la ricerca di se stessi sono considerati fra i grandi modelli seguiti e cercati da chi si interroga seriamente sulla propria esistenza. Proprio questo è quello che hanno vissuto tre seminaristi del seminario “Pio XI” di Reggio Calabria inviati dai loro formatori in Madagascar per vivere una piccola esperienza di conoscenza e di missione nella diocesi di Moramanga ospiti del Vescovo Mons. Gaetano Di Pierro e in particolare di don Claudio Roberti, sacerdote della diocesi di Reggio Calabria- Bova e fidei donum da circa trent’anni in Madagascar che li ha accompagnati per tutto il tempo condividendo con loro e trasmettendo le bellezze e le fatiche di annunciare il Vangelo ed essere sacerdote per tutti. Perché un viaggio come questo che profuma di missione diventi pellegrinaggio è necessario che abbia, già nella preparazione, chiara la meta che si vuole raggiungere e il desiderio di allargare lo spazio della propria tenda staccandosi da una parte di se per accogliere l’Altro. È importante lasciare parte della propria storia e affidarla a Colui che ha “chiamato” a vivere questa esperienza. Questo permette di farsi povero, disponibile all’ascolto, alla comunione, alla conoscenza di altri e di altre realtà. Arrivando in terra malgascia si ha subito la sensazione di calpestare una terra amica e ospitale dove basta guardarsi negli occhi per sentirsi già un po’ a casa. Percorrendo le lunghe distanze tra un paese e l’altro ci si rende conto che la valenza del Cammino non si misura dalla quantità di strada percorsa ma dalla capacità di maturare la propria fede e di offrire in dono la propria esistenza. Infatti lungo la strada, di paese in paese e tra i villaggi si fanno conoscenze, si instaurano legami, si condividono la fatica e la festa, ci si lascia coccolare e stupire dalla quotidianità come dagli incontri speciali che confermano amicizie e ne generano di nuove: attraversando diocesi, nell’accoglienza cordiale di un Nunzio Apostolico, nella disponibilità grande e generosa di qualche vescovo, nella piccola attenzione che rifocilla di una comunità religiosa. Ma la capacità di maturare e di donarsi passano anche da una simpatica e divertente escursione tra una palma del pellegrino e un Baobab, tra un lemure e un coccodrillo, nello stupore di un Alba che rende meno pesante un lungo viaggio e un magnifico tramonto che strappa un sorriso alla stanchezza del giorno, nella preziosità di un po’ di semplice riso che viene offerto come la cosa più cara che si ha. Un primo forte richiamo all’essenzialità necessaria soprattutto per chi vive un’esperienza del genere durante il cammino di formazione al sacerdozio, viene offerto dalla numerosa presenza di abitazioni fatte di Capanne, quasi a richiamare alla mente e al cuore quando da bambini si giocava a costruirne una e portarci dentro l’essenziale. La provvisorietà della struttura e della mancanza di tanti accessori, ormai per una parte di mondo indispensabili, fa riflettere molto perché il cammino della vita spesso è appesantito da zavorre inutili e che distolgono persino dalla verità di se stessi. Uscire dalle troppe formalità nelle quali spesso ci si incastra aiuta a riscoprire la propria umanità così come Dio l’ha creata, lasciandosi sorprendere dalle capacità e potenzialità che emergono dallo spirito di sopravvivenza seminato in ogni uomo. Le immagini del lavarsi e lavare i panni nei fiumi, di cucinare con la pentola su tre pietre e il fuoco acceso con la legna richiama un contatto e una comunione con la natura che fa bene all’uomo e che sarebbe grave perdere completamente. È fondamentale riscoprire queste radici profondamente umane per incontrare davvero Dio. Si ha pienamente questa percezione nell’esperienza forte e unica che si vive andando in foresta, dove ci si arriva viaggiando su camion che trasportano merci o pullman strapieni di gente e provviste, lungo una strada completamente dissestata e fangosa, respirando un clima primordiale che per chi non è abituato fa sentire inizialmente al limite ma che aiuta a non perdere il calore umano e la condivisione fraterna che fanno presto comprendere come si può vivere sereni anche con lo stretto necessario se si sta insieme e si condivide la vita, ma soprattutto che così come siamo e nel creato abbiamo già tutto ciò che ci serve... il resto è dato in più! Bisogna solo far incontrare Dio e riconoscere tutto come Suo dono, altrimenti se ne abusa e si disperde nell’egoismo e nella prepotenza prettamente umana. Proprio in foresta basta davvero alzare lo sguardo al cielo stellato e scorgere la serenità degli abitanti di quei luoghi per sorridere e comprendere che il vero povero non è colui che manca di qualcosa ma chi sa usare bene ciò che ha, chi non ha pretese ma fiduciose attese, chi non sta alla finestra ma scende in campo. Spesso invece assistiamo a società ricche di cose ma manchevoli di serenità e di gioia, con tutti gli strumenti necessari ma alla ricerca sempre di ciò che manca, ricche di incontri ed eventi di massa ma pieni di solitudine e incapaci di stare e lavorare insieme. I giorni in foresta trascorsi con la corrente elettrica solo per alcune ore e l’assenza di acqua calda usando quella raccolta in quantità sufficiente per l’uso quotidiano, permettono di prendere consapevolezza sull’importanza di questi beni ma soprattutto sullo spreco che nei cosiddetti “paesi avanzati” ogni attimo se ne fa. La prima cosa che risalta all’occhio girando per i villaggi e i paesi lungo il cammino, sono i tantissimi bambini, il loro gironzolare e sporcarsi giocando liberamente e aiutando i genitori nei diversi lavori manuali. È segno, questo, non solo di un profondo senso e rispetto della vita ma anche di una grande fiducia, consapevole o inconsapevole, in Dio che porta a non frenarla la vita ma farla nascere spontaneamente dandole priorità sui beni mobili o immobili o meglio ancora sulla realizzazione individuale. Per far nascere il noi bisogna rinunciare a pezzetti di “io”.
L’annuncio del Vangelo e la presenza di sacerdoti e suore missionari in terra malgascia, oltre ad essere un canale perché scenda copiosa la Grazia di Dio, rende dignitoso e colmo di senso l’istinto umano orientandolo al suo unico scopo: l’incontro con Dio e camminare umilmente con Lui. Grazie alla loro presenza oggi il Madagascar è ricco di vocazioni diocesane e religiose che rendono presente e costruiscono il Regno di Dio già su questa terra.
È bello camminare per strada e incontrare tante madri che allattano naturalmente i propri figli senza quell’imbarazzo e quella vergogna che forse hanno impoverito di tenerezza le società occidentali. Come gli innumerevoli animali, in particolare mucche, papere e galline, lontani da allevamenti selezionati e industrializzati, che convivono a strettissimo contatto con adulti e bambini nelle situazioni comuni di ogni giorno e che oltre ad una qualità migliore del cibo che si consuma, aiutano l’uomo a rimanere tale, a sentirsi parte di un creato che non potrà mai essere sostituito con nessuna tecnologia! La profonda bellezza che si incontra nel creato dove ogni cosa viene utilizzata per ciò che è si abbraccia alla cordialità nella relazione con l’altro che e’ sempre un dono che Dio concede per sperimentare la Sua misteriosa presenza e protezione. I missionari che si incontrano di tanto in tanto e dai quali c’è sempre una porta aperta e una tavola apparecchiata, testimoniano che l’altro è un aiuto per conoscersi, per accertarsi, per cambiare in meglio, per vivere l’Amore vero attraverso l’ascolto e il servizio. Così si crea il terreno buono per annunciare Gesù Cristo e il Suo Vangelo. L’Altro diventa, allora, la meta del pellegrinaggio, il senso del viaggio, la missione di ogni Cristiano che vissuta fino in fondo produce una crescita integrale della persona, matura la fede in Dio, porta a superare l’atteggiamento del sentirsi arrivati e apre il cuore alla capacità di costruire il futuro. Si torna a casa “per un’altra strada”, rinnovati dall’Amore di Dio , con il desiderio di trasformare e interpretare l’ordinario in straordinario semplicemente vivendo a pieno e in modo autentico ciò che si è. Ma soprattutto si torna a casa con il cuore allargato dalla conoscenza di uomini e donne di Dio, di fratelli e sorelle che donano un respiro universale. Si torna con un cuore ricco di gratitudine a chi ha permesso di poter vivere questa esperienza, a chi testimonia che con poco si può fare molto se lo si mette nelle mani di Dio. Gratitudine a Dio Padre di tutti che non smette di nascondere in ogni angolo di mondo i doni del Suo Amore che hanno il volto del Signore Gesù Cristo impresso in ogni uomo che Lo cerca con cuore libero e sincero per donare Pace ai suoi passi, Speranza ai suoi giorni, Eternità ai suoi sogni! Ni fiadanani Tumpu, la pace del Signore sia con te!
* Seminarista

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