Un momento di intensa comunione ecclesiale ha riunito la comunità diocesana di Reggio Calabria - Bova lo scorso 24 aprile nella Basilica Cattedrale. In un clima di profonda partecipazione e di sentito raccoglimento, è stata celebrata una Santa Messa in suffragio di Papa Francesco, accogliendo l’invito della Chiesa universale a pregare per il Pontefice. Fedeli, sacerdoti, religiosi e religiose si sono stretti attorno al loro Pastore, l’arcivescovo Fortunato Morrone, che ha presieduto l’Eucaristia, elevando una corale preghiera per il Santo Padre, segno tangibile di affetto e di sostegno spirituale da parte di tutta la Chiesa reggina.
I due discepoli di Emmaus, incontrato Gesù e riconosciutolo come Risorto dopo che aveva spezzato il pane e spiegato le Scritture, ritornano a Gerusalemme dove si trovano riuniti «gli apostoli e gli altri che erano con loro». L’evangelista Luca ci ricorda che il luogo dove si conosce, si celebra e si annuncia il Crocifisso Risorto è la comunità dei credenti che conferma l’autenticità dell’esperienza vissuta dai due discepoli di Emmaus e l’annuncio conseguente: «davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» ( Lc 24,34). La fede pasquale, che in quest’Ottava di Pasqua, tempo nel quale il nostro amato papa Francesco è ritornato al Padre di Gesù, è annunciata (kerygma) ma soprattutto narrata (diéghesis) e testimoniata con la vita, dentro e nonostante la fragilità della condizione umana. Si dà ragione della speranza che la fede della Chiesa ci consegna certamente con l’annuncio, ma con la narrazione al vivo dell’incontro con il Risorto, Gesù di Nazaret, Crocifisso, con la testimonianza della medesima Carità di Cristo, il kerygma colpisce il cuore degli uditori. Ed è proprio mentre i due discepoli raccontano alla comunità la loro vicenda che il Risorto in persona, si rende presente, si riconosce nella narrazione dei due ma con una postura che sempre e da capo invera ogni esperienza credente ecclesiale e personale di fede: «stette in mezzo a loro». Il Risorto intendeva ricordare ai suoi lo stile del suo stesso annuncio testimoniato con la sua vita fino alla morte e alla morte di croce, compendiato nella lavanda dei piedi la sera del giovedì e che l’evangelista Luca così narra al cap 22. “[..] nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande, Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve». Capovolgendo l’ordine di questo mondo mondano presente con varie sfumature in tutti noi, Gesù ha riportato all’Origine, cioè al desiderio eterno del Padre suo l’identità umana autentica della nostra chiamata alla vita: amare come Lui ha amato noi. Solo così quest’umanità potrà gustare, già qui, la gioia di essere un cuor solo e un’anima sola (cfr. Atti 4,32), fratelli tutti, e di cui la Chiesa in questa storia è chiamata ad essere il sacramento visibile dell’umanità nuova apparsa in Gesù. Per questo, dopo la sua orribile crocifissione, il Padre suo, Dio nostro, l’ha risuscitato, dichiarando che solo Gesù, il suo Amato Figlio, Verbo incarnato è l’unico volto umano a stare in piedi. Chi si lascia rivestire della sua umanità, del suo habitus esistenziale, chi si nutre dello stile della Sua vita beata e assimila creativamente il Suo insegnamento, ripercorrendo originalmente le Sue orme, chi si lascia da lui amare e lavare i piedi nella sua nuda fragilità e contraddittoria umanità e, accogliendo con gratitudine il Suo sconcertante e nuovo, unico vero comandamento, “lavatevi i piedi gli uni gli altri”, le nudità e le fragilità dei tanti fratelli e sorelle, rimane in piedi, è già risorto e rialza dalla prostrazione, dall’abbattimento, dalla miseria, una moltitudine di sorelle e fratelli. Come Pietro di fronte al paralitico alla porta bella del Tempio potrà affermare, sollevandolo dalla sua emarginazione: “fratello non possiedo né argento né oro, non possiedo nessun potere religioso, sociale, politico, affettivo, ma quello che ho te lo dò: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e riprendi il cammino!” (cfr. At 3,6). L’umanità risollevata nei tantissimi volti dei miseri e dei senza diritti ad opera di chi confessa il Risorto è il frutto concretamente gustoso della salvezza già operante qui, oggi.Ecco carissimi, in quel che ho tratteggiato velocemente, ispirandomi al Vangelo di oggi, rivedo i tratti essenziali dell’umanità e del ministero apostolico di papa Francesco. Al netto di ogni possibile e prematura interpretazione del suo intenso articolato ministero e magistero, riflesso della sua complessa, ricca e appassionata personalità umana e credente, il segreto del cristiano e vescovo Jorge Bergoglio si trova nell’incontro che nel corso della sua vita ha vissuto e sperimentato con il Crocifisso Vivente, Gesù di Nazaret. Questo, mi pare sia, il criterio ermeneutico fondamentale, per leggere e interpretare con serenità, e per noi credenti cattolici con gratitudine immensa, la sua vita e soprattutto il suo pontificato con la conseguente eredità pastorale e spirituale lasciata alla Chiesa, pellegrina in questa storia, in continuità creativa, vitale e progressiva, con i papi che lo hanno preceduto nel segno della fede, della speranza e della carità.Ma possiamo esprimere con le stesse parole di papa Francesco, e meglio di quel che fin qui ho comunicato, il suo tratto umano e cristiano identificativo: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia». Ho letto l’incipit dell’Evangelium Gaudium, l’esortazione post sinodale sull’evangelizzazione, programmatica del suo ministero apostolico. Credo sia la migliore sintesi della sua esistenza di uomo e di credente, di pastore che come vescovo di Roma è stato chiamato dallo Spirito del Signore a guidare la Chiesa cattolica dal 2013 fino al lunedì di Pasqua, giorno della sua ultima pasqua, del suo passaggio da questo mondo al Padre di Gesù. “La gioia del Vangelo” è una cifra interpretativa, forse quella più significativa, del suo magistero pastorale e teologico ricco e articolato, che ha lasciato in eredità alla Chiesa in questo non facile cambiamento d’epoca, come più volte papa Francesco ci ha segnalato, incoraggiando noi credenti a non aver paura di questo tempo particolarissimo e faticoso che siamo chiamati ad abitare, ma ad accoglierlo come tempo favorevole, opportunità dello Spirito per annunciare il Vangelo. Ed è proprio il Vangelo, cioè Gesù incontrato nel quotidiano dell’esistenza, che ha catturato la mente e il cuore di Jorge Bergoglio offrendogli la gioia e il segreto della vita, sì da spingerlo a votare la sua esistenza alla causa di Gesù, l’annuncio del Regno. Tutto il resto è una conseguenza, quasi un necessario corollario pastorale. Tanti, in questi giorni, sono stati i commenti e i profili tracciati sui vari media, sia locali che internazionali, confessionali o laici, condivisibili o meno, di papa Francesco. Ma il suo segreto, all’interno della sua cultura argentina, della sua esperienza credente cattolica latino americana, è possibile individuarlo nel rapporto personale e intimo che sino alla fine dei suoi giorni ha intessuto con il Signore. È proprio l’incontro con Gesù, coltivato nell’ascolto orante della preghiera personale, che ha riempito l’intera sua vita specialmente nei momenti più difficili e travagliati del suo ministero presbiterale, episcopale e ultimamente petrino, quello certamente più faticoso. A tal proposito e quasi conferma di quanto ho segnalato, nella stessa esortazione citando il suo predecessore, afferma: «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva” » (EG 7).Per i credenti discepoli e discepole del Signore e in particolare per Francesco la relazione grata e gioiosa con il Signore, come vissuta anche papa da Benedetto XVI, è dunque determinante e vitale, è il vero motivo che lo ha spinto ad annunciare il Vangelo, Gesù fondamento di ogni possibile giustizia tra noi umani. Parlando ai giovani nel 2018 a Riga, capitale della Lettonia, Francesco affermava: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna di qualunque provenienza». La commovente risonanza che la morte di papa Francesco sta avendo, a livello mondiale, è segno che il Vangelo del Signore quando viene annunciato con cuore in mano e con speranza certa, senza infingimenti e accompagnato da gesti semplici e miti, fa vibrare le corde più profonde dell’animo degli uditori, a qualsiasi religione, cultura o popolo appartengono. Probabilmente coloro che non condividono le ragioni della speranza cristiana hanno fiutato più di noi credenti la bellezza umanissima del Vangelo, annunciato con passione e convinzione da papa Francesco nei suoi 12 anni di pontificato in tutto il mondo, fino alle estreme periferie dell’umano vivere, lì dove sembra impossibile sperare in una vita degna di questo nome. Ha colto nel segno, in tal senso, il profilo puntuale e sintetico di papa Francesco tracciato dal presidente d’Israele Isaac Herzog «Francesco era un uomo di immensa fede e grande misericordia, che ha dedicato la vita al progresso dei poveri del mondo e alla richiesta di pace in un’epoca complessa e turbolenta». Ed è certamente la continua, accorata e profetica richiesta di pace di Francesco (con la guerra tutti perdiamo, vinciamo tutti con la pace) ad essere stata disattesa dai grandi e potenti di questo mondo, che con voci più o meno dissidenti hanno tributato elogi all’uomo Francesco e alla sua azione per rendere questo nostro piccolo pianeta, la comune casa custodita e abitabile da tutti, con gli stessi diritti nativi che spettano a tutti. Diritti nativi la cui ragione per noi credenti è semplicemente evangelica, umana: stiamo parlando degli esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio, Padre di Gesù e nostro, Padre di tutti, perciò sorelle e fratelli tutti. “Sono venuto -ci ha rivelato infatti Gesù- perché tutti abbiano la vita in abbondanza” (cfr. Gv 10,10) perché nessuno si perda e a tutti sia offerta e riconosciuta quel minimo di giustizia sociale in modo che l’esistenza possa ripartire con le stesse condizioni di vita dignitosamente umana. L’impegno per la giustizia sociale è, carissimi, non semplice filantropia, ma Vangelo vivo, che ha appassionato inevitabilmente Francesco e che il Magistero della Chiesa cattolica ha autorevolmente codificato con la sua “Dottrina sociale” arricchita da papa Bergoglio con la Laudato sì e Fratelli Tutti. Il Dio di Gesù non si prende cura degli angeli, ma è fortemente interessato all’esistenza di tutti gli uomini e le donne sparsi nel mondo. La paterna giustizia di Dio declinata da Gesù nei termini concreti della misericordia, soprattutto per gli ultimi, è perciò l’altro aspetto continuamente annunciato e personalmente praticato da papa Francesco, rilanciato con l’apertura dell’Anno Santo, giubileo della speranza e del perdono gustabile da tutti, soprattutto nelle opere di misericordia, concreti segni di risurrezione dei credenti, declinati in giustizia che offrono speranza e respiro di vita a tutti, specie ai miseri e a chi viene negato ogni diritto di esistere, fin dal concepimento. Papa Francesco in sostanza ha spronato la Chiesa, noi tutti cristiani, a un cambiamento di stile e di passo imparando ogni giorno da Gesù, il Maestro e Signore, affinché la forza gagliarda del suo Spirito, forza propulsiva e decisiva del suo Vangelo, faccia breccia plasmi finalmente nel nostro cuore. Ecco nell’annuncio evangelico condotto con tutte le sue forze, la sua mente e il suo cuore, sino alla fine, amando tutti da discepolo di Gesù, in papa Francesco è stata coinvolta e investita la sua persona, i suoi sentimenti, la sua intelligenza, la sua cultura, con tutti i suoi umanissimi limiti e temperamento. Credo che papa Francesco abbia interiorizzato, aiutato anche dalla sua spiritualità ignaziana, la passione trascinante dell’apostolo Paolo: “annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! (1Co 9,16) “con gioia” facendo eco all’esistenza credente di papa Francesco. Ora chiediamo a te, papa Francesco che sei entrato nella gioia del tuo Signore Gesù, di intercedere per noi credenti, pellegrini di speranza, discepoli missionari, perché non venga meno in noi la passione e la gioia di annunciare il Vangelo che la Chiesa ci ha affidato per essere permanentemente, come tu ci hai insegnato, membri di una Chiesa viva e vivace, creativamente fedele al suo Maestro e Signore, sinodalmente in uscita verso tutti. Amen.
* Arcivescovo di Reggio Calabria - Bova