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Il teatro è un linguaggio che appartiene a tutti: non richiede un talento straordinario, ma solo il desiderio di mettersi in gioco, di lasciarsi attraversare dalla bellezza dell’incontro. È un’arte che educa, che libera, che plasma l’Io più profondo. In questo racconto, memoria personale e testimonianza civile si intrecciano nel cammino teatrale di una comunità calabrese, tra oratori, parrocchie e fermenti giovanili.
Il teatro è la palestra della creatività. Tutti possono recitare. Tutti possono improvvisare. Chiunque lo desideri può recitare e qui il talento serve poco. Basta soltanto la voglia di stare insieme, un po’ di spontaneità per creare una esplosione che ci liberi dalle nostre paure individuali e la tecnica, fondamentale. Essa, è lo scheletro che sostiene l’opera e aiuta a liberare l’Io creativo dall’Io egoistico della vita quotidiana.

Il teatro tra le arti è la più complessa, mette insieme tante professionalità, ma anche la più semplice. Mi accostai al teatro da ragazzo e non l’ho più abbandonato. Quando nel 1975 dei giovani dell’Oratorio Salesiano di Gallico mi invitarono a fare il regista di una commedia che volevano mettere in scena, a prima acchito la proposta mi lusingò e accettai con entusiasmo. Venivo dall’esperienza maturata all’ombra del Santuario della Madonna della Grazia dove sotto la guida del professore Pino Santoro dieci anni prima con un gruppo di giovani e giovane gallicesi avevamo fondato il Gruppo d’Arte Drammatica “Salvatore Gallo”. Una esperienza culturale, teatrale, sociale e ludica molto importante e formativa, prima sotto gli sguardi vigili dei padri Gesuiti e dal ’67 in poi con padre Aurelio Cannizzaro, missionario saveriano.
Ma come succede ancora oggi da noi a Reggio e nel Sud, dopo il diploma molti giovani partirono per il Nord Italia in cerca di lavoro o divennero ferrovieri e impiegati della Pubblica amministrazione, nel 1973 il gruppo teatrale si sciolse. Ma la voglia e il fermento per il teatro non si spense mai tra i giovani che frequentavano la parrocchia di S. Biagio e l’oratorio Salesiano delle FMA, così l’anno dopo la messa in scena con le ragazze e i ragazzi dell’Azione cattolica parrocchiale e sotto la guida attenta del parroco don Demetrio Fortugno, fondammo il Gruppo Teatro Libero Gallicese.
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Giangurgolo, la maschera della Commedia dell’Arte Calabrese fu l’emblema del GTLG. Da questa esperienza Scaturì la Settimana Teatrale a Gallico, rassegna che per decenni radunò al Teatro Greco del Parco della Mondialità le migliori compagnie teatrali amatoriali calabresi e il Premio Teatrale Nazionale per testi inedito in lingua e in vernacolo calabrese. Premio presieduto dal romanziere Saverio Strati. Non avendo frequentato nessuna scuola di teatro non è stato facile introdurmi in questo affascinante mondo artistico.
Così, responsabilmente, respingendo il classico atteggiamento del «sicundu mia» da autodidatta mi sono messo a studiare la psicologia attraverso dei volumi di Sigmund Freud che in quegli anni settimanalmente uscivano in edicola. Questi trattati mi aiutarono a capire che ogni uomo è uguale a se stesso, che comunichiamo oltre che con la parola principalmente con il corpo e il nostro agire è generato da sentimenti, desideri ed emozioni.

Per otto anni ho frequentato i laboratori teatrali della FederGat a Fognano (RA) e I Teatri del Sacro a Lucca finanziati dalla CEI. Il teatro è buttare giù la maschera e non indossarla per diventare veri. Il personaggio sono io, io sono il personaggio con la mia fisicità, i miei sentimenti, i miei desideri e le mie emozioni. Egli rivive con me. Il teatro è magia, è vita, è un importante mezzo di aggregazione sociale e giovanile. Il teatro insegnando a gestire l’emotività rende le persone sicure, forti e migliora i rapporti tra gli individui.

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