Avvenire di Calabria

Il presule ha presieduto una Messa in occasione del 41esimo anniversario della barbara uccisione dell'imprenditore salernitano

Reggio Calabria, il vescovo Morrone ricorda Musella e tutte le vittime di mafia

La testimonianza della figlia Adriana: «La lotta della memoria contro l’oblio rappresenta il riscatto dalla barbarie per non rendere vane tante morti ingiuste»

di Francesco Chindemi

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L'arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone ha presieduto ieri sera una Santa Messa in ricordo di Gennaro Musella. L'imprenditore salernitano è stato ucciso il 3 maggio di 41 anni fa a Reggio Calabria, vittima di un attentato della 'ndrangheta.

Una Messa in ricordo di Gennaro Musella, presieduta presso la chiesa di San Paolo alla rotonda, alla presenza della famiglia dell'imprenditore, di amici, semplici cittadini e rappresentanti delle forze dell'ordine e delle istituzioni. A presiedere la celebrazione è stato l'arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova, monsignor Fortunato Morrone.


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Nel ricordo dell'imprenditore salernitano, barbaramente assassinato la mattina del 3 maggio del 1982, è stata occasione per pregare anche per tutte le altre vittime di mafia. Nella sua omelia monsignor Morrone più volte ha pronunciato il termine «Giustizia», valore per il quale - ha aggiunto - tante persone hanno sacrificato la loro vita, come appunto l'imprenditore Gennaro Musella.

La chiesa era adornata da tante gerbere gialle a cui da anni è legato il ricordo di Musella e alle vittime innocenti di mafia. Un particolare che non è sfuggito all'arcivescovo, il quale ha esordito dicendo: «Conosco questo fiore che ha una lunga storia di speranza. Sono qui - ha poi aggiunto il presule - per ricordare il papà di Adriana e tutti coloro che hanno dato la vita per la giustizia».

Il presule si è poi soffermato sul racconto tratto dagli Atti degli apostoli che narra della separazione di Paolo e Barnaba. "Separazioni" spesso inaspettate e quasi "ingiuste", ma dalle quali può nascere una nuova importante missione.

Non sono mancati, inoltre, durante la celebrazione, altri momenti commoventi carichi di emozione. Come l'offertorio affidato alla stessa figlia di Musella, a un poliziotto e ad un carabiniere, in rappresentanza delle scorte e dei tanti operatori delle forze dell'ordine, sacrificatisi in servizio o per senso del dovere.

41 anni dopo l'attentato, Adriana Musella ricorda il padre Gennaro

«Ringraziamo il vescovo per esserci per la sua grande sensibilità e per esserci stato accanto», le parole di ringraziamento pronunciate da Adriana Musella, figlia di Gennaro. «La Chiesa - ha aggiunto - può fare tanto nel contrasto a 'ndrangheta e mafia. In modo particolare qui a Reggio Calabria». Nelle sue parole, anche il racconto della drammatica esperienza vissuta dalla sua famiglia dal giorno della morte del padre.

«Sono trascorsi tanti anni da quel 3 maggio del 1982. Fino ad allora - racconta nella sua riflessione - di mafia avevo solo sentito parlare, una storia come altre da leggere o un film da vedere. Quel giorno fummo chiamati alla realtà e il problema rivoluzionò le nostre esistenze, mandando in frantumi il corpo di un uomo, i suoi e i nostri sogni, per sempre».

Era una calda giornata di sole. Gennaro Musella, alle 8.20, scese come al solito di casa, pochi metri, l’apertura della portiera, la messa in moto, il boato assordante. Reggio Calabria, tremò come scossa da un terremoto. «Mio padre veniva disintegrato da una potentissima carica di tritolo posizionata sotto il sedile di guida», è ancora il commosso ricordo di Adriana Musella.

Nella mente è ancora impressa quell'immagine drammatica che si presentò davanti agli occhi. «L’auto si accartocciò su se stessa, volando in aria per poi tornare al suolo, mentre l’urlo straziante della gente si alzava in cielo. Sull’asfalto si formò una voragine che ancora oggi, quando piove molto, riaffiora».

«Una colonna di fumo nero, fitto, circondò gli edifici, mentre il corpo dell'uomo giaceva dilaniato e sventrato. I suoi occhi spalancati sembravano essere quasi increduli», racconta ancora la figlia. «Di lui rimase solo un tronco monco; il cervello spappolato fu trovato appiccicato sul muro di un edificio della via antistante, una mano raccolta sull’asfalto. Moriva così mio padre, Gennaro Musella, moriva in una terra non sua ma di cui s’era innamorato, sognando di creare una seconda Positano in terra di Calabria. Ma il suo sogno fu disintegrato con lui e il suo sorriso spento. Dopo appena due giorni, avrebbe compiuto 57 anni».

«In un attimo di follia, la distruzione di un corpo, di una vita, di una famiglia che non è mai stata più la stessa è che da ieri ad oggi non ha smesso mai di pagare le conseguenze di quella tragedia che ci ha timbrato a fuoco la vita è che ci portiamo dentro. Mio padre - racconta Adriana Musella - non era un eroe ma una persona semplice e buona che ha pagato a caro prezzo la sua ribellione alla prepotenza e alla sopraffazione mafiosa, nel difendere dignità e libertà».

L'auto dell'imprenditore Musella subito dopo l'attentato

«Ho trascorso la mia vita nella testimonianza quotidiana al fine di trasmetterne memoria e ricordarlo alle coscienze della gente. Non so se ci sono riuscita - continua - ma certamente so di aver fatto tutto quello che potevo…bene o male, poco o molto, ma assolvendo al mio dovere di figlia e di cittadina. Quando ad essere ucciso è un personaggio delle Istituzioni, le Istituzioni stesse lo ricordano ma, se a cadere sono cittadini comuni, i palazzi restano molto lontani e si rischia di ucciderli due volte nella dimenticanza e nella negazione di verità e giustizia. Ecco che allora nasce per i familiari l’esigenza di mettersi in gioco e il dolore si fa forza e strumento indispensabile di riscatto».

«Le vittime di mafia non gridano vendetta ma esigono e meritano giustizia, orfani di un futuro loro rubato con la sopraffazione. La lotta della memoria contro l’oblio rappresenta il riscatto dalla barbarie per non rendere vane tante morti ingiuste e dare un senso a ciò che senso non ha».


PER APPROFONDIRE: Vittime di mafia, la denuncia di Stefania: «La gente non sta dalla nostra parte»


«Il ricordo di alcuni uomini e la loro orrenda fine - ha motivo di ritenere Adriana Musella - va trasmesso perché possa trasformarsi in patrimonio comune. A loro è stata riservata la parte più difficile, quella di morire, a noi resta un compito molto più agevole, diffonderne e tutelarne la memoria per non renderne vano il sacrificio ma trasformarlo in opportunità nella costruzione di una coscienza civile».

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