Avvenire di Calabria

C'è un comune sentimento di amarezza e dolore che attraversa una comunità che ha sempre difeso il proprio territorio

Cardeto, dopo l’incendio parla il parroco: «Basta dolore, mettere fine a questo orrore»

La testimonianza di don Luca Mazza: «Abbiamo vissuto giorni dolorosi, la soluzione non è la gestione dell'emergenza»

di Luca Mazza *

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Cardeto, un paese avvolto dalle fiamme dell'incendio che ha distrutto campagne e macchia mediterranea, minacciando case e abitazioni. È, soprattutto, un paese avvolto dal dolore per l'ennesima perdita in soli due anni per l'identico motivo: la mala interpretazione di ciò che dovrebbe essere il dominio dell'uomo sulla natura.

Può essere così interpretato il sentimento vissuto nel piccolo e caratteristico borgo aspromontano, in cui ancora oggi si respirano i valori di un tempo e, purtroppo, anche l'odore della cenere lasciata dalle fiamme che, nei giorni scorsi, hanno devastato un territorio amato e coccolato dalla sua gente, strappando via all'affetto dei propri cari e paesani, proprio uno dei figli di questo territorio che qui aveva deciso di trascorrere la propria vita, senza mai pensare a cosa sarebbe andato incontro.


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Un sentimento affidato alla dolorosa riflessione e alla testimonianza - che qui di seguito vi proponiamo integralmente - del parroco, don Luca Mazza. Giovane sacerdote, a Cardeto da soli quattro mesi, ma che ha già dimostrato, anche nella grande prova del dolore causato dal devastante incendio, di essere accanto e amare la comunità a lui affidata.

Incendio Cardeto, parla il parroco: «Abbiamo vissuto giorni dolorosi, basta a questo orrore»

“Domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame…” (Gen 1,26)

Il dominio dell’uomo sulla natura è un tema quanto mai impellente. Esso va visto in stretta assonanza con la somiglianza dell’uomo con il Dominus, il Signore. Solo così si può scorgere cosa per la Scrittura possa voler dire dominare.

“C’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli” (Mt 21, 33)

Questi ultimi giorni a Cardeto hanno mostrato cosa vuol dire male interpretare questo dominio. Qua le fiamme, che hanno raggiunto tutto il territorio reggino, son giunte fino alle piazze centrali, nel cuore del paese. In particolare nelle giornate di lunedì e martedì la furia della natura sembrava indomabile. Queste giornate hanno mostrato lo stato di abbandono delle nostre montagne a sé stesse, abbiamo respinto il dovere di prenderci cura di un bene così prezioso.

“In ogni cosa rendete grazie” (1Ts 5,18)

Al di là di cosa sia stato fatto con perfezione o meno, di ciò che si può e si deve fare fuori dalle situazioni emergenziali, vorrei ringraziare chi ha permesso di superare questo momento così buio per la nostra comunità.

La cenere al posto della vegetazione, sullo sfondo il paese di Cardeto

I Vigili del fuoco, accorsi da varie parti d’Italia, gli uomini di Calabria Verde, della Protezione Civile, e in particolare i nostri Carabinieri, a pari di chi si è sentito sconvolto nella propria casa, in qualcosa di proprio, sono stati insieme alle persone h24 per più di due giorni, anche per loro non c’era notte, ma solo un fuoco che insidiava il paese e il dovere sentito di stare accanto, dare una mano. Alla Sindaca, all’amministrazione e ai dipendenti comunali, alle persone di Cardeto che si son messe a servizio gli uni degli altri.

Questo forse l’unico aspetto bello di questi giorni. In prima linea ci sono stati i nostri paesani, spesso soli. Il primo intervento, quello importante, che ferma sul nascere le fiamme, o che tenta di pulire le zone vicine alle case per impedire al fuoco di arrivare. A volte anche l’ultimo intervento, a spegnere quelle piccole fiammelle che possono però diventare principio di un nuovo fronte incendiario. Nelle strade, da casa in casa, da una parte all’altra in base a dove c’era più bisogno. Carenti di mezzi specializzati, ma forti di chi tiene in somma considerazione la vita, le vite, ma anche le proprie case, il proprio paese.

Cosa resta? Amarezza. Anzitutto per la morte del parrocchiano, del compaesano. Arrivare a una così veneranda età per poi chiudere l’esistenza terrena in casa propria in maniera così tragica, assurda. Il pensiero per chi ancora lotta per sopravvivere.

Amarezza per quel pensiero recondito e incessante che possa essere stata la mano di qualcuno ad aver dato inizio a tutto questo. Per questa terra abbandonata. Il nostro bene più prezioso, le nostre montagne fonte di vita e oggi di morte.

La soluzione non è la gestione dell'emergenza

Per il pensiero che se non domani, quasi certamente dopodomani tutto sarà dimenticato. L’emergenza finisce e torna l’abbandono. Forse, ci auguriamo come minimo, lo stanziamento di qualche sostegno economico per le famiglie, per riparare ai danni dell’incendio. Ma ciò che è il minimo rischiamo sia, come spesso accaduto, il tutto.

È la logica di chi pensa che si possa affrontare i problemi semplicemente stanziando fondi. Essi sono il minimo sindacale ma non risolutivo in sé stesso, l’attenzione maggiore poi deve essere nell’attuazione reale e concreta di quegli interventi che sono essenziali. Nell’immediato: le strade, quanto era difficile per i mezzi di soccorso giungere in alcune parti del territorio; il controllo delle zone bruciate, detriti e alberi pronti ad essere un nuovo fronte emergenziale alle prime piogge forti; il ripristino e l’adeguamento su tutto il territorio della connessione telefonica e della rete, quanto è stato difficile supportare il territorio e le varie persone senza potersi sentire telefonicamente, son passati già cinque giorni e il problema non è stato risolto, ma ci sono zone del paese che per una non convenienza economica sono a tutt’oggi, al di là dell’emergenza, sprovvisti di copertura della rete, qua lo Stato dovrebbe intervenire prontamente.

E poi quella cura ordinaria e buona che deve essere messa in cantiere da subito, consorzi, operai forestali, una programmazione coordinata ma reale ed efficace fra tutti i soggetti da poter mettere in campo, per prendersi cura delle nostre montagne e per creare le condizioni in cui non si vengano più ad verificarsi incendi che trovano terreno fertile nella trascuratezza per poter alimentarsi in questo modo. Servono nuove soluzioni da chiedere e pensare per mettere fine a questo orrore, dato ormai il ripetersi continuo, di anno in anno.


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Amarezza nel sapere che ciò era successo già due anni prima, con un altro compaesano pianto, e ancora prima. E che questo ripetersi sia l’evidenza che forse passati questi giorni tutto torni nel dimenticatoio, o in voci di bilancio che non sempre trovano vera attuazione. Servono nuove soluzioni da chiedere e pensare per mettere fine a questo orrore.

*Parroco di Cardeto

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