Promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos, con il patrocinio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria, si è svolto l’incontro sul tema “Pietre dimenticate: la Torre di Gallico”, relatore Domenico Mazzù, cultore di storia e appassionato studioso di fatti e vicende riguardanti la “sua” Gallico. All’incontro è intervenuto il Prof. Giuseppe Caridi, Presidente della Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Su un terreno circondato oggi da abitazioni, in una zona un tempo piantata a gelsi, agrumi e alberi da frutto, si è salvato fortunosamente il sito della “Torre di Gallico”, una struttura militare eretta alla fine del ‘500 nei pressi della foce della fiumara Gallico.
La torre faceva parte di quel progetto difensivo voluto dal vicerè don Pedro de Toledo per far fronte alle rovinose incursioni turchesche. La torre di Gallico fu costruita in sostituzione di quella fortezza che doveva sorgere a Reggio, sulla punta di Calamizzi, chiamata “Castelnuovo”, i cui lavori avviati nel 1547 e interrotti nel 1556, non furono mai più ripresi. Il Codice Romano Carratelli, riscoperto da alcuni anni, non contiene il disegno della Torre di Gallico (forse il foglio si è perso), tuttavia l’anonimo autore, nel disegnare la torre di Ravagnese, proponeva la costruzione di una torre sulla punta di Calamizzi poiché: “quella di Ravagnisi con quella di Gallico non riceuono lofano (il segnale) l’un l’altra per esservi in mezzo la città di Reggio…”. Il segnale che le torri dovevano trasmettere a quelle successive era il fumo di giorno e il fuoco di notte. Ciò serviva per avvisare il caporale dell’imminente arrivo di corsari e avvertire la popolazione che così poteva mettersi in salvo. Della torre di Gallico non rimane oggi che un disegno conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
La sua struttura era simile ad altre torri costiere costruite lungo il versante tirrenico della Calabria. Il pericolo che la torre doveva fronteggiare era soprattutto costituito dagli assalti dei corsari barbareschi. Responsabile del funzionamento della torre era il caporale detto anche castellano o torriere, coadiuvato da due soldati, dai cavallari e dagli aggionti. I nomi di alcuni dei caporali della Torre di Gallico sono giunti fino a noi, (Damiano Pardo Miguel Manrique, Andrea Martinez,Giovanni Barba). Nel corso del Seicento la rigida normativa che prevedeva l’impiego, con l’incarico di caporale, di solo personale spagnolo perché ritenuto più affidabile di quello locale, divenne desueta. Nel 1691 fu torriere Antonino Cama e nel 1707 Placido Cama. Dell’organico della torre di Gallico faceva parte anche il cavallaro, un uomo a cavallo che aveva il compito di pattugliare la spiaggia, dando fiato al corno o sparando colpi di archibugio, per avvisare il caporale di un imminente sbarco di corsari. Si trattava di un lavoro molto faticoso. Quando gli sbarchi erano più frequenti, l’Università di Sambatello designava i cosidetti “Aggionti”.
Il borgo marinaro di Gallico che iniziò a formarsi con la costruzione della Torre, continuò il suo sviluppo nel corso del Seicento con un’intensa attività commerciale favorita anche dall’apertura, alla fine del secolo, di uno “scaro” commerciale. Nell’ “Apprezzo dello stato dei Carafa di Bruzzano del 1689” si legge che nei pressi della torre di Gallico si svolgeva una fiera. Il lento declino delle torri comincia con il venir meno delle incursioni barbaresche soprattutto da quando, il 13 giugno 1830, una potente flotta francese attaccò dal mare la città di Algeri facendo dell’Algeria una colonia francese. Dopo secoli di attività, nel 1862, molte torri furono poste in vendita e acquistate da privati che le rilevarono con il terreno circostante. Stessa sorte toccò alla Torre di Gallico divenuta proprietà della famiglia Calogero. Una parte delle torri rimase proprietà del demanio e fu abbandonata a se stessa. Con decreto reale del 30 dicembre 1866, venuta infine meno la funzione militare e difensiva delle torri, il governo dell’Italia decise la dismissione dell’intero sistema.