Ripensare al valore dei gesti
Intervista esclusiva a Uccia Costantino
Testimonianza di una donna da anni impegnata a servizio degli ultimi
Redazione Web
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Di Ida Nucera
L’associazione “Anassilaos” ha di recente conferito alcuni riconoscimenti a donne che si sono distinte professionalmente per l’impegno nel sociale e nel volontariato. Storie semplici come quella di Uccia Costantino, membro della “Comunità di Vita Cristiana”, docente di Lettere in pensione. La Costantino ha ricevuto il premio la “Mimosa d’oro”. Abbiamo rivolto a lei qualche domanda.
Qual è stata la tua reazione alla notizia del premio?
È stata una notizia inaspettata, alla cui proposta, inizialmente, avevo risposto che non mi sembrava il caso, mi ha poi convinto una frase della persona amica che mi aveva contattato per conto dell’”Anassilaos”, che mi suggeriva di pensare alla valenza della testimonianza che poteva avere ricevere tale riconoscimento.
Spesso si mette in evidenza il curriculum, dalle tue parole di ringraziamento emergeva altro vero?
Sono convinta che il premio per il volontariato non sia per un mio merito. Avendo un percorso di fede, so che nel mio cuore lavora l’amore di Dio che mi spinge verso l’altro. Un cammino che vivo comunitariamente ed ho sentito in quel momento di rappresentare la mia comunità che mi ha aiutato a dare questo senso alla mia vita e di unire fede e vita.
C’è nella spiritualià ignaziana una sottile, ma fondamentale distinzione tra il volontariato ed il servizio apostolico.
Il primo nasce dalla volontà di chi sente il desiderio di sostenere le persone in difficoltà, di andare incontro alle varie necessità sociali, il servizio è un essere mandati in missione per poter testimoniare l’amore misericordioso di Dio, che è attento ad ogni persona.
La tua esperienza non è solo all’interno della sede della Comunità di vita cristiana, dove tra l’altro, dedichi alcuni pomeriggi al doposcuola per i ragazzi del centro immigrati, ma ti rechi presso il carcere.
Senz’altro è un’esperienza particolare molto forte, all’inizio fa quasi un pò paura. Si va incontro ad un ambiente nuovo, già andare fuori dalle mura della comunità ci sente disarmati. Vedere l’altro come persona fragile fa cadere ogni forma di pregiudizio. Non pensi di avere di fronte un colpevole, ma una persona che soffre soprattutto per la lontananza dalla famiglia. Si crea una relazione positiva, tra l’altro, non chiediamo mai di quale reato siano responsabili, a meno che non siano loro a volerlo dire.
C’è nella tua vita un altro impegno di servizio che nasce da una memoria grata, puoi parlarcene.
Si tratta della “Casa Reghellin”, a cui abbiamo dato vita come associazione “Zedakà”, un termine greco che significa “restituire la carità secondo giustizia”. Accogliamo donne che non hanno casa e dormivano alla stazione, rimanevano per strada, oppure badanti che si trovavano senza lavoro, donne abbandonate dai mariti. Una persona ci ha dato in comodato d’uso una abitazione su due piani con 68 posti letto e alcuni letti per bambini.