Avvenire di Calabria

Tocca alla Calabria chiudere la classifica della qualità della vita pubblicata da 'Avvenire'

La Calabria condizionata da ’ndrangheta e fuga dei giovani

Davide Imeneo

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Tocca alla Calabria chiudere la classifica della qualità della vita pubblicata da 'Avvenire'. All’ultimo posto, infatti, figura Crotone, Vibo Valentia al terz’ultimo e Reggio Calabria al quart’ultimo. Anche gli altri due capoluoghi della punta dello Stivale, Cosenza e Catanzaro, non brillano per vivibilità, occupando rispettivamente il 98° e 95° posto su 107. Perché la Regione dei Bronzi finisce abitualmente nel fondo di queste tipologie di classifiche? Ci sono almeno tre buone ragioni che concorrono al degrado della Calabria: la pervasività della mafia, in particolar modo della ’ndrangheta, la mediocre qualità dei servizi sanitari e lo spopolamento giovanile, legato alle partenze di massa dei neo-diplomati e dei neolaureati.

Queste tre cause si concatenano a più livelli, generando un clima irrespirabile e una paralisi dei servizi. Ne è un esempio eclatante il commissariamento per mafia dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, decretato dal Consiglio dei ministri del 13 marzo. Già in passato, nel corso di alcune indagini e vicende giudiziarie, erano emersi doppi pagamenti di alcune fatture da parte dell’Ente commissariato. L’Asp reggina, inoltre, ha accumulato debiti per 200 milioni di euro e, pur spendendo tantissimi soldi, gestisce due ospedali in gravissimo stato di degrado, carenti da ogni punto di vista.

Nando Dalla Chiesa, docente di Sociologia della criminalità dell’Università di Milano, è intervenuto sulla vicenda del commissariamento: «La ’ndrangheta non fa bene ai cittadini delle regioni in cui è molto forte, contrariamente a quello che si pensa, e questa ne è una dimostrazione. Essa punta a infiltrare e controllare i sistemi sanitari perché sono la principale voce di bilancio regionale, tra il 77 e l’85%. E ha dimostrato in più occasioni di tenerci, non soltanto al Sud… ma evidentemente in Calabria c’è il tesoro, è il luogo in cui si può speculare di più sul sistema sanitario, sottraendosi anche ai controlli di qualità da parte dei cittadini o delle professioni. Il fatto che 600mila calabresi in 10 anni abbiano dovuto curarsi in altre regioni è del tutto significativo».

Sempre in tema di ’ndrangheta e commissariamenti, vale la pena soffermarsi su un’altra conseguenza della presenza mafiosa, che innesca ritardi e disservizi. Le ’ndrine, con le loro ramificazioni tentacolari, insediano anche la Pubblica amministrazione. Dal 1991 ad oggi in Calabria sono stati sciolti 110 Consigli comunali per infiltrazioni mafiose, alcune città, come Lamezia, sono state protagoniste di reiterati scioglimenti. L’efficacia di questo provvedimento però, lascia molto a desiderare. Infatti, dopo lo scioglimento subentra un commissariamento che, abitualmente, si occupa degli affari correnti, non incidendo su sviluppo e progettualità. Inoltre, i commissari non hanno sempre la possibilità di combattere efficacemente la presenza mafiosa in seno agli organi amministrativi degli enti comunali, società in house e partecipate. Insomma, lo scioglimento dei consigli comunali sembra non riuscire sempre a contrastare il fenomeno mafioso, ma ha certamente ricadute negative sulla vivibilità delle città commissariate. Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, nelle scorse settimane ha preparato una proposta di legge sullo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose, fatta propria da Forza Italia che la presenterà in Commissione giustizia al Senato. «Le attuali regole non funzionano, e lo dimostrano i casi in cui un Comune viene commissariato più volte, spesso lo scioglimento è un congelamento della gestione della cosa pubblica senza modificare gli elementi di condizionamento. Vogliamo un sistema che vada più in profondità, che estirpi il cancro di un’amministrazione, in modo tale che quando si insedia una nuova Giunta, sia libera da condizionamenti mafiosi». Infine, ma non di minor importanza, è da considerare la ripercussione mafiosa sul mercato del lavoro. La ’ndrangheta lavora come un vero e proprio Ufficio di collocamento alternativo, procurando impiego e occupazione, spesso in nero. Ne è evidenza il fatto che la Calabria figuri tra le regioni con meno richieste per il Reddito di cittadinanza, nonostante l’elevato tasso di disoccupazione. La presenza di un’economia criminale sommersa scoraggia chi è onesto e non colluso. Anche per questo i giovani partono: la necessità che li spinge a fare le valigie non è solo l’assenza di lavoro, ma la mancanza di lavoro pulito. Quattro mila neolaureati lasciano la Calabria ogni anno: un’emorragia di talenti e di capitale umano che non lascia intravedere un futuro di crescita e sviluppo per la terra di Pitagora.

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