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La proposta di una “Palestra popolare cittadina” come simbolo di rinascita urbana, contro degrado e solitudine
Partendo dalle affermazioni dell’antropologo Marcel Mauss che definisce la pratica sportiva come un fatto sociale, cioè un insieme di attività che abbraccia ambiti diversi, che spaziano da quello puramente sportivo fino ad arrivare alla politica, possiamo affermare che lo sport è sinonimo di impegno, crescita e costanza, strumento di formazione, sia da un punto di vista fisico che delle competenze e dei valori. Lo sport mette alla prova ognuno di noi, aiutandoci a superare limiti e a realizzare sogni, sostiene la formazione dei soggetti coinvolti e, ha il potere, unico per certi aspetti, di rigenerare i contesti sociali, anche i più fragili e poveri.
Qual è la sfida di oggi? Porsi al centro di una “rete di comunità”, in cui lo sport è chiamato ad avere un importante ruolo, passando dal proprio tradizionale profilo di sport competitivo e/o ricreativo, ad una nuova dimensione educativa, sociale e culturale per diventare anche «sport inclusivo, di partecipazione e rigenerazione». Un diritto di tutti e che non dovrebbe essere negato a nessuno, lo sport, come più volte ha sottolineato il Consiglio dell’Unione Europea, è fonte e motore di inclusione sociale, oltre che strumento per l’integrazione dei giovani a rischio di emarginazione sociale.
In un momento storico come quello attuale, in un tempo di personalismi, disimpegno, populismo diffuso e dove le periferie spesso diventano luoghi nei quali si concentra il disagio sociale dei giovani, l’educazione dei ragazzi attraverso lo sport, il gioco e l’attività motoria dovrebbe assumere un significato ed un valore centrale nelle proposte e nei ragionamenti di Istituzioni, Enti e Associazioni.
Oggi, tanti ragazzi vivono una crisi d’identità capace di innescare sentimenti di insicurezza, vulnerabilità, fragilità ed emarginazione. Ed è proprio in un contesto simile che lo sport, come veicolo educativo, ha un ruolo centrale, poiché forma le persone in quanto tali, ancor prima degli atleti e dei campioni. Educare con lo sport richiede anche un investimento cultuale e politico che punti a trasformare le strutture sportive, in luoghi d’aggregazione, spazi culturali, avamposti educativi.
La parrocchia, la piazzetta, la strada o il campetto in terra rimangono, ancora oggi, luoghi privilegiati per la promozione sportiva e spazi educativi strategici nel territorio, perché capaci di accogliere tutti, nessuno escluso. Bisogna impegnarsi per promuovere un nuovo “Cantiere dei Luoghi Educativi dello Sport”, in cui si possa ricostruire quel tessuto sociale che rimetta insieme la comunità, che fortifichi i legami tra i cittadini, che accolga i più giovani. Così facendo, scelta dopo scelta e partita dopo partita, il rischio maggiore sarebbe solo quello di perdere palloni per strada. I ragazzi, invece, troverebbero spazi, persone e occasioni dove poter crescere.
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La rete con istituzioni e associazioni mette in campo un’idea di cittadinanza attiva che partendo dalla rigenerazione urbana, promuovendo il gioco in strada a dimensione educativa e sociale, inserirebbe i ragazzi in un processo virtuoso che porterebbe vita in tanti spazi pubblici altrimenti ostaggio di incuria, abbandono, microcriminalità e degrado. Non possono esserci limiti invalicabili per lo sport: non esistono “zone franche” rispetto alla gioia dei bambini nel rincorrere un pallone o esultare per un gol. Servono azioni forti e lungimiranti che puntino a promuovere un’attività sportiva libera e gratuita, una sorta di “Palestra Popolare Cittadina” capace di favorire l’incontro e la partecipazione, generando speranza e cambiamento.
* Presidente del Centro Sportivo Italiano (CSI) Reggio Calabria
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