Avvenire di Calabria

Dalla comparazione dei testi evangelici si coglie l'itinerario spirituale che Giovanni traccia per i suoi lettori

La Pentecoste nei testi evangelici

Tre gli elementi che si ripropongono nel testo giovanneo: la menzione del Padre, il termine “Spirito” e il verbo “mandare”

di Tonino Sgrò

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Per il commento del racconto della Pentecoste in Atti 2, rimandiamo alla lectio di padre Sergio Sala all’interno del percorso sinodale diocesano di Reggio Calabria - Bova. Qui intendiamo invece comparare i testi evangelici degli anni A, B e C per cogliere l’itinerario spirituale che il vangelo di Giovanni, proclamato a Pentecoste nelle “Messe del Giorno” dei tre anni, traccia per i suoi lettori.

Nell’anno A, Giovanni (20,19- 23) ci proietta alla sera di Pasqua e al dono dello Spirito che il Risorto fa agli apostoli riuniti nel cenacolo. Gli anni B e C ci offrono alcuni versetti scelti dai discorsi d’addio di Gesù nell’ultima cena ai capitoli 14 e 16, nei quali si annuncia il futuro invio dello Spirito. Tre sono gli elementi che ritornano in tutti i testi: la menzione del Padre, il verbo greco pempo, “mandare”, il termine “Spirito”.


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Il quarto vangelo ci schiude il mistero del Padre, sempre presente nella vita del Figlio, il quale è insieme la Parola e l’Ascolto del Padre. La vita di Cristo è una continua relazione col Padre e questo è il motivo per cui Egli si concepisce come inviato del Padre e manda lo Spirito insieme a Lui. È stupenda la ricaduta esistenziale che discende per noi da tale mistero di comunione: sapere di non essere soli, che proveniamo da un’origine d’amore e, pur nelle vicende contraddittorie della vita, procediamo costantemente verso la pienezza dell’amore. Chi entra in questa verità di autentica figliolanza, avvertirà la stessa gioia di Gesù di fare ogni cosa col Padre, e quindi di dare senso a tutto.

La Pentecoste, i "verbi" ricorrenti nel Vangelo di Giovanni

La gioia del Figlio è svolgere la missione che il Padre gli affida, ovvero essere mandato agli uomini. Il verbo pempo caratterizza dunque il rapporto tra le prime due persone della Trinità e si estende allo Spirito, che Cristo manda «dal Padre». Nel quarto vangelo il verbo ricorre 32 volte, di cui ben 25 per indicare che il Padre ha mandato il Figlio.

Questo dato biblico consolida la consapevolezza dei cristiani, a loro volta mandati da Gesù presso i fratelli, che cose e persone non sono oggetto di conquista, talvolta persino ammantata di una qualche relazione di aiuto, ma situazioni e volti che costituiscono una provocazione ad amare. Chi sa di essere mandato, quindi, si terrà lontano dalla tentazione del possesso e non esiterà neanche un attimo a servire il prossimo con animo libero, contribuendo a liberare l’altro da ciò che non lo fa vivere da figlio. Chi ci permette di vivere da figli è lo Spirito Santo, il dono unico e definitivo di Dio, la vita stessa della Trinità regalata all’uomo.

Nei tre testi giovannei lo Spirito è legato al perdono, all’annuncio della verità, all’inabitazione perpetua nel credente. Tutto ciò che ci è necessario per vivere è donato dallo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio. Una delle prime esperienze a imporsi alla coscienza è quella di essere perdonati. Tutti abbiamo commesso da bambini delle marachelle per le quali pensavamo di dover subire chissà quali castighi e che ci hanno ricacciato in un profondo senso di colpa fino a quando i genitori non ci hanno fatto comprender che non era poi così grave.


PER APPROFONDIRE: Oggi è la Pentecoste, cosa si celebra


Liberandoci dal peccato e dalle sue conseguenze di paura e chiusura, lo Spirito ci ricorda che la nostra verità è partecipare alla vita stessa di Dio. Ciò è possibile se custodiamo la presenza di questo «ospite dolce dell’anima»: Giovanni ci rivela che la via per essere costantemente abitati dallo Spirito è ascoltare la Parola, la quale a sua volta diventa meglio comprensibile se siamo ricolmi dello Spirito che ha mosso l’autore sacro.

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