Agiduemila compie 31 anni, sabato un convegno sulle disabilità
«Persone al Centro – Disabilità e percorsi di vita… arti educative». È il titolo del convegno in programma sabato, organizzato da Agiduemila in occasione del 31esimo anniversario.
«Sporcarsi le mani è non avere paura di educare». Don Giacomo Panizza non usa mezzi termini, non è il suo stile d’altronde, nel rispondere a uno dei tanti reggini accorsi alla libreria “Paoline” per vivere un momento di pedagogia collettiva. Sì, perché il coraggio è un atto collettivo come saggiamente conclude “Cattivi Maestri”, il libro del sacerdote bresciano, ma calabrese – lametino per l’esattezza – dal 1976. Anno in cui conobbe don Italo Calabrò e quell’incontro nel chiostro della curia arcivescovile di Reggio Calabria, gli cambiò la vita.
«Sostenevano che a Lamezia la mafia non esistesse – rivela don Giacomo – che era solo una cosa da film». Eppure una volta avviata la prima azienda con i diversamente abili andarono a cercargli il “pizzo”. Fu così che don Giacomo conobbe la ‘ndrangheta. Quella cruenta del Torcasio che non digerirono la scelta di utilizzare una delle case a loro confiscate come sede di Progetto Sud, l’organizzazione di don Panizza, e lo minacciarono di morte. Ma anche quella dei colletti bianchi, più paziente: quella che ingenera «muri di gomma» insormontabili.
Così la mafia insegna, da l’esempio. Allora ciò che serve realmente è una sfida educativa a quella pedagogia mafiosa. E proprio dai cattivi maestri riparte un’esperienza ben orchestrata da Pasquale Neri, portavoce del Forum del Terzo Settore. Gli interventi di Sara Bottari, docente e presidente della fondazione “La Provvidenza”; Valentino Scordino, docente e socio fondatore dell’Associazione “Maestri di Speranza” e Amelia Stellino, docente dell’Istituto Superiore di Formazione Politico – Sociale “Monsignor Antonio Lanza” sono perfettamente sincroni con il messaggio di don Giacomo.
Sembra di essere in famiglia o per meglio dire in classe. In quelle aule scolastiche dove un maestro è riuscito con la sua azione a «far alzare lo sguardo» ai propri alunni. In fondo per sconfiggere la cultura mafiosa non servono eroi, ma «riuscire insieme: questa è politica. È cosa di tutti, non “cosa nostra”». Così scrive don Giacomo nel suo libro. Un tentativo, quello di vincere la sfida dell’educazione, a cui nessuno può esimersi.
«Bisogna giocarci una via d’uscita», prosegue il sacerdote che spiega come ha compreso sulla propria pelle i tentativi violenti delle mafie di impartire le proprie lezioni. «Quando ci lasciamo impaurire è allora che abbiamo “imparato”». Ma come non avere paura? Don Giacomo non ha dubbi: «Stando insieme». E su questo punto, sulla rigenerazione quotidiana propria del rapporto docente–alunno, che parla all’uditorio. Lanciando una provocazione: «Perché a Reggio Calabria non c’è l’antiracket?». Nella sala cala il gelo. Il silenzio guaudioso di un incontro lascia spazio a quello della riflessione. Di una città narcotizzata.
È sempre per don Panizza ha ripristinare l’idillio con una parola di speranza (ne userà tante soprattutto “in prestito” da San Paolo): «La Calabria è ricca di persone che “non tornano indietro”, basta trovarle».
C’è bisogno di storie positive e questo “Cattivi Maestri” ne è una raccolta formidabile perché coniuga la missionarietà all’attenzione pedagogica di una comunità che si è sentita tradita da chi doveva custodirne i valori. «Noi non siamo affiliati, ma stiamo comunque insieme» spiega il sacerdote quando racconta delle udienze accanto a quanti decidono di denunciare il pizzo. Di fronte al muro (umano) dell’omertà c’è la trasparenza di un’azione che educa. «Ci hanno messo 25 anni a Lamezia per dire che la mafia esiste, dal 1976 al 2001. Adesso, però, qualcosa con l’aiuto di tutti sta cambiando».
«Persone al Centro – Disabilità e percorsi di vita… arti educative». È il titolo del convegno in programma sabato, organizzato da Agiduemila in occasione del 31esimo anniversario.
Il sacerdote bresciano trapiantato a Lamezia lavora a una grande manifestazione sul territorio ucraino. «Il tema della Pace e del prendersi cura dei più fragili preoccupa la Chiesa»
Lungo il suo cammino non sono mancati gli esempi di prossimità. Tra cui don Calabrò. Il prete reggino aprì al “nuovo” volontariato. Un’idea di Welfare da vero precursore.