Avvenire di Calabria

La tragedia della guerra e un’immagine di don Tonino Bello

di Paolo Bustaffa

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“Non sfugge a nessuno che stiamo vivendo ‘dies amaritudinis’ quali ci è sembrato di non vivere mai. Perfino ad attardarsi sulla rievocazione della violenza si dà l’impressione di essere stancamente ripetitivi. La situazione internazionale, gli eccidi, gli spettacoli della fame ci sfilano davanti agli occhi come grondaie inconsumabili e si ha la tentazione di pensare a situazioni senza sbocco”.


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Le parole dell’omelia del vescovo Tonino Bello alla messa crismale del 1993 risuonano attuali a trent’anni di distanza. Allora l’ombra della guerra veniva dai Balcani.

Il sangue degli innocenti, e tra questi molti bambini, scorre ancora e attorno ai luoghi della tragedia crescono paure, inquietudini mentre in buona parte dell’opinione pubblica trovano spazio l’assuefazione e l’indifferenza.

Del male che sradica con violenza la vita dell’uomo e distrugge la sua casa i media riferiscono puntualmente ma raramente riescono a superare quelle polarizzazioni, perlopiù frutto di una cattiva politica, che rendono difficile se non impossibile una valutazione onesta dei fatti.

“La nostra coscienza morale ne esce schiacciata da questa tempesta di dolore. È il tempo del torchio. Ė il tempo della pressura. I frantoi scrosciano delirio. Il nostro animo si gonfia di turbamento. Siamo presi dallo sconforto”. Don Tonino così continua quasi fosse sui fronti delle guerre in corso oggi nel mondo. Quasi fosse nei luoghi delle torture e delle violazioni dei diritti umani, nelle carceri dove viene soffocato il grido delle donne che chiedono verità, giustizia, libertà.

È il tempo del torchio.

I pensieri si aggrovigliano, diventano a volte un velo che impedisce di capire, di distinguere. Si rimane imprigionati nella rete dell’ineluttabile, dell’irreparabile.

“Ė vero – scrive però don Tonino Bello – che il processo di violenza non può lasciarci tranquilli; ma è anche vero che andiamo sperimentando la presenza di turbe di gente che non si sono arrese alla barbarie dei cavernicoli”.

Ci sono i giovani che, come si è visto a Lisbona accanto al Papa, si ribellano alla menzogna, cercano la verità, assumono impegni per il bene comune.

C’è la gente umile che non si arrende e all’arroganza del potere che opprime e risponde con la forza della preghiera e con quelle della conoscenza e della ragione.

“In piedi costruttori pace, cantate la speranza” l’appello di don Tonino Bello scuote chi si chiama fuori dalla storia illudendosi di mettersi al sicuro.

Dal buio della guerra alla luce della pace, dal giorno del torchio al giorno dell’olio: il percorso è difficile ma è possibile, quindi è doveroso.

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