Avvenire di Calabria

Bartolo Mercuri racconta la sua vita tra i container della Piana di Gioia Tauro

La verità di ”Papa Africa”: «Non esistono invisibili»

Federico Minniti

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Lo chiamano tutti «Papà Africa ». È Bartolo Mercuri e si occupa dei braccianti della Piana di Gioia Tauro. Lui non li definisce «invisibili», tutt’altro: hanno un nome, una storia, un sorriso. Ogni giorno col suo pullmino scorazza tra le campagna di San Ferdinando e dintorni: entra nella tendopoli, di cui è uno dei pochi a conoscere tutti i segreti, e nei container.

Negli anni passati ha subito pure delle intimidazioni, «a qualcuno da fastidio che aiuto quei ragazzi», si lascia sfuggire. Ma dalle sue parole, nonostante racconti una realtà costellata di fragilità, non si lascia mai andare a giudizi o accuse. Chiede giustizia, quello sì. Ma il nostro confronto parte da un avvenimento che Mercuri definisce «il giorno più bello della mia vita». Ci riferiamo alla visita dell’Elemosiniere del Papa che, il 16 ottobre scorso, ha suonato al suo campanello.

«Sono don Corrado, mi manda papa Francesco» ha detto. Una frase incredibile anche per Bartolo, uomo di grande fede col dono di un figlio sacerdote. Ma una volta aperto il cancello a guidare quel pullmino carico di alimenti c’era proprio lui, il Cardinale Konrad Krajevski. «Un uomo straordinario, voleva essere chiamato “don”, senza fronzoli o appellativi gerarchici – ci dice Mercuri – ma la cosa che mi ha letteralmente scioccatto che, una volta aperto lo sportello posteriore, si è messo a scaricare i pacchi». Un cardinale–volontario che ha voluto incontrare quanti si spendono al fianco di Mercuri all’interno de Il Cenacolo di Maropati, la struttura messa in piedi grazie alla solidarietà di tanti che, nel silenzio, hanno chiesto a Bartolo Mercuri di andare avanti nonostante le minacce dei caporali– ndranghetisti.

Poi la visita alla tendopoli e ai container: il cardinale Krajevski ha guardato negli occhi, uno ad uno, quei giovani che hanno lasciato la propria terra per pochi euro l’ora. «Durante la cena – racconta Bartolo Mercuri – ci ha consegnato l’ultima enciclica del Papa, “Fratelli Tutti”. Fissandoci ci ha detto: “Questo libro parla di voi”. E il Santo Padre lo sa». Trattiene a stento l’emozione Mercuri: sapere che il pontefice segue con attenzione il suo operato lo ripaga di tutte quelle volte che si è sentito solo. Col rischio di mollare. «Ma non potevo abbandonare quei ragazzi, loro ogni giorno mi aspettano ». Dopo il congedo con l’Elemosiniere, i volontari de Il Cenacolo, assieme a Mercuri, sono andati nei supermercati della zona: «Il Papa ci ha fatto una grossa donazione economica: abbiamo deciso di fare tanti voucher–spesa da 30 euro ciascuno », ci racconta il responsabile della struttura.

Insomma, una manna dal cielo. E Mercuri legge quel giorno come un segno della Provvidenza: «L’emergenza Coronavirus sta debilitando ancora di più tutti quei poveretti costretti a vivere appollaiati, non si può continuare così». È un uomo del fare: durante la nostra chiacchierata, spessissimo, divaga con tantissimi esempi.

Ci racconta dei pochi amici, tra cui don Pino Demasi, il giornalista Michele Albanese e l’imprenditore Nino De Masi che negli anni lo hanno sostenuto. Ma a dargli manforte c’è soprattutto la fede, il vero faro del suo agire: «Tutto quello che faccio, lo faccio per il Signore. È lui che mi da la forza di affrontare anche i momenti più difficili. Ho avuto la grazia di avere un figlio sacerdote» ci dice Bartolo «ed ho quindi sperimentato quanto Dio sia presente nella mia vita. Confesso che, spesso, ho vissuto la solitudine nel mio servizio, ma la visita dell’Elemosiniere mi ha ripagato di tutti i giorni “no”. Vedere che il Papa non solo si interessa di noi, ma che prega per la nostra attività, veramente mi ha stravolto la vita». Bartolo Mercuri non cerca palcoscenici, lo percepisci da come risponde alle domande di un’intervista.

Non si pone come l’uomo che da risposta, ma piuttosto come colui che si pone domande. Specialmente di senso per la sua vita e di chi gli sta accanto. “Beccarlo” non è stato semplice: preso com’è dalla sua attività, abbiamo dovuto incastrarci tra la consegna dei vivere e il tour tra le case di ventura dei braccianti. Una cosa è certa: dopo aver parlato con lui, non li chiameremo più «invisibili». Sono donne e uomini con una storia, un volto e un sorriso. Proprio come ci ha detto Bartolo all’inizio di una chiacchierata insolita. Ed emozionante.

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