Genitori detenuti, l’ex garante della Calabria: «Serve tutelare i legami familiari, il modello Laureana un esempio»
Nel contesto della tutela dei diritti dei detenuti, emerge spesso il ruolo della genitorialità e
Maurizio è un imprenditore che opera nel settore informatico nella città di Reggio Calabria. Lo incontriamo nel suo studio, è appena rientrato dal tribunale dei minori, dove ha completato l’iter necessario per ottenere l’adozione di un minore. La seconda, perché Maurizio e la moglie Mariella sono già papà e mamma di un bambino di quattro anni, Daniel, nato a San Pietroburgo.
Messe da parte le preoccupazioni lavorative, Maurizio racconta a L’Avvenire di Calabria cosa significa adottare un figlio: la scelta, i timori, le attese e le gioie.
Quando hai scelto di adottare un bambino?
La scelta dell’adozione è frutto di un percorso, nel mio caso durato molto tempo. Tutto è iniziato con la difficoltà di generare un figlio. In quei casi hai davanti due strade: la provetta o l’adozione.
Perché non hai scelto la provetta?
Parlando con mia moglie, abbiamo capito che la scelta dell’inseminazione ci sembrava molto fredda, quasi una “scelta chimica”, non ci attraeva. La fede ci ha aiutati a scegliere: non volevamo un figlio a tutti i costi, questo ce lo siamo detti chiaramente. Abbiamo fatto una valutazione su ciò che ci avrebbe potuto renderci veramente felici. L’adozione era la scelta giusta.
Comincia così l’Odissea burocratica...
Abbiamo cominciato il percorso per ottenere l’idoneità all’adozione nazionale e internazionale il 22 novembre 2011. Il decreto ci è stato consegnato il 25 ottobre del 2012 da parte del tribunale dei minori. Poi, abbiamo potuto incontrare nostro figlio soltanto nel 2014.
Quali sono gli ostacoli che deve affrontare una coppia che decide di adottare un figlio?
L’iter burocratico è un gravissimo ostacolo, in alcuni momenti sembra insormontabile. Un altro aspetto che gioca a sfavore è quello economico. Se decidi di fare l’adozione internazionale, bisogna affidarsi a un ente riconosciuto che ti segue per tutto l’iter. Chiaramente questo ha un prezzo. Ma il muro contro il quale urti più di frequente è quel- lo “dei pregiudizi”. Quando ho iniaziato a manifestare l’intenzione di adottare, molti mi sconsigliavano dicendo: «lascia stare, non sarà mai veramente tuo figlio, non è sangue del tuo sangue».
E come hai superato questo muro?
L’ho abbattuto quando sono entrato nell’orfanatrofio di San Pietroburgo e ho visto mio figlio. E ho capito che è “mio” figlio anche se non ha il mio sangue, perché la paternità si costruisce con la relazione e non con il Dna.
Perchè tu e Mariella avete scelto il nome Daniel?
Dovevamo dichiarare, entro 24 ore come avremmo dovuto chiamarlo. Durante la notte abbiamo pensato al nome Daniel, il mattino seguente lo abbiamo proposto alla responsabile. Lei, sorridendo, ci ha detto che era il nome di battesimo del bambino. Allora abbiamo capito che anche Qualcuno, lassù, aveva voluto questa strada per noi.
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La delegazione ha incontrato il presidente Occhiuto e l’assessore Staine Nei giorni scorsi una delegazione
A raccontare l’incredibile storia il giornale “Toscana Oggi”. Una storia iniziata in Calabria con epilogo e lieto fine a Firenze dove madre e figlia risiedevano, senza essersi mai incontrate.