Avvenire di Calabria

L’edificio di tre piani è stato confiscato al clan Torcasio e affidato alla Comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza

Lamezia Terme, l’Eucaristia nel palazzo tolto alla ’ndrangheta

Toni Mira

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Un palazzo confiscato alla ’ndrangheta che ospita una casa famiglia del “dopo di noi” e un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati è stato ieri “tempio” per la celebrazione della Messa in Coena Domini a Lamezia Terme. È la forte scelta del vescovo, Luigi Cantafora per aprire le solennità del Triduo Pasquale. L’edificio di tre piani, confiscato al clan Torcasio, è stato assegnato nel 2002 alla comunità “Progetto Sud”, fondata nel 1976 da don Giacomo Panizza, sacerdote bresciano della Comunità di Capodarco. Ed è stato più volte bersaglio di attentati. «Solo chi vive la distruzione del peccato può vivere la risurrezione di Cristo – dice il vescovo nell’omelia – solo chi si mette ai piedi del fratello può servire la Chiesa e gli altri. Questa casa aperta è una casa che significa proprio questo. Per chi ha vissuto la morte Dio ha mandato il riscatto per sperimentare la vita e la risurrezione. Guardate avanti e in alto, ma anche in basso, agli altri, per es- sere dei veri risorti». Poi aggiunge: «In quelli che la società scarta si realizza in pieno la parola di Gesù che è venuto per gli ultimi, per dare loro la dignità di fratelli. Questa Eucaristia fatta con loro significa che tutti siamo chiamati a sentirci fratelli nonostante le nostre fragilità». «Celebrare la cena del Signore in un bene confiscato alle mafie e insieme alle persone fragili – spiega don Giacomo – è un gesto religioso, tiene la Chiesa ai piedi dell’umanità crocifissa e interpella i popoli, le culture e i poteri: valutate voi se questo sia anche politica!».

Quel palazzo non lo voleva nessuno. Fino a quando don Giacomo decise di dare una testimonianza. Venne ribattezzato “Pensieri e parole” e si cominciò con il “dopo di noi”. I mafiosi accolsero disabili e volontari con parole minacciose. «Facciamo saltare in aria voi e i vostri mongoloidi». Poi fu l’anziana madre del boss a lanciare l’anatema. «Voi siete un prete del demonio, non del Signore». Da allora il sacerdote vive sotto tutela e la comunità è videosorvegliata, soprattutto dopo gli attentati, cresciuti con l’arrivo nel 2011 dei giovani immigrati, ospitati nello Sprar “Luna Rossa”. Fino a oggi ne ha accolti più di cento, attualmente ospita 12 minorenni e 9 neomaggiorenni, mentre nel “dopo di noi” vivono sei disabili. Una presenza che la mafia non ha gradito. Così la sera di Natale 2011 viene fatta esplodere una bomba contro la porta d’ingresso, il 27 febbraio 2012 un colpo di pistola viene sparato contro una finestra, mentre sono due i proiettili che il 9 aprile colpiscono la serranda del pian terreno. Il 10 agosto 2015 il palazzo viene letteralmente assediato da una manifestazione di chiara matrice razzista. Ma il palazzo è sempre più pieno di idee e progetti per i più fragili.

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