Avvenire di Calabria

La magia del ritaglio e del modellismo nella vetrina a Sbarre del maestro Tripodi

L’antica arte delle terre di Arghillà

Gianluca Del Gaiso

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Una vetrina senza grandi insegne luminose ad attirare l’attenzione nel cuore di sbarre. Dentro un uomo che in silenzio modella, intaglia, immagina l’opera finita. È il maestro Nicola Tripodi che, like sui social alla mano, in pochi anni ha conquistato gli occhi e il cuore di tanti.  Da Reggio Calabria alla Sardegna passando per l’Europa: in tanti lo contattano, magari in piena notte, per dirgli che hanno riconosciuto quella sua opera, la mano di Pentedattilo, in un programma andato in onda in prima serata.

Una fama che come sempre in questi casi rimbalza nell’umiltà di una passione che si fa vita attraverso le mani di un artista vero. Dallo “Scecco nto lenzolu” alla “Sibilla Aspomontana” alla rivisitazione del detto tutto reggino “U porcu avi tre pila….”.  Un viaggio con occhi artistici per raccontare l’amore verso la sua terra. Grafico in origine, una delle tante “mattine dopo” che la vita ti mette davanti ha scelto una strada simile ma certamente diversa da quella che aveva immaginato. Per nulla figlio d’arte. Quel mestiere con l’argilla l’ha imparato da zero, ma molto bene. Quasi lo stesse aspettando da tempo. A seguirlo in questa avventura con la stessa tenacia e sguardo curioso e sognatore, anche la sua famiglia.

Un laboratorio che trasuda creatività da ogni scaffale e latta di pittura finita. Un mondo quasi magico in cui i dettagli fanno la differenza. In cui i grandi numeri sono ben lontani dalla pazienza necessaria a creare, ma è soprattutto un lavoro da sognatore.  «L’arte di Arghillà ripercorre con curiosità, passione e sentimento i meandri della storia di questa nostra terra, talvolta seguendo tracce trascurate e ignote, nascoste tra le pieghe della cultura povera e minore, quella della gente che la vive e la celebra ogni giorno. La scelta delle figure su cui fermare il pensiero e di cui narrare, cade sugli oggetti di allora – quando anche le cose avevano un’anima riconosciuta – ma anche sul mare e la terra di sempre, sui simboli della tradizione che recupera e rilegge infondendo un respiro tutto nuovo che ce li sa avvicinare al cuore. È l’arte delle terre e di un universo infinito di testimonianze e allegorie che sa ancora sorprendere. Ognuna un pezzo unico». Una sorta di diario rivisitato e scritto con una lingua diversa, quella di un materiale povero, l’argilla, che nei secoli ha mantenuto immutato il suo fascino come la carta. Il maestro Nicola è di poche parole, il suo pensiero lo esprime con quel sorriso che ha quando modella la sua argilla.

«Questa arte – dice – nasce dalla voglia di trasformare in solido quelle che erano le mie idee». Un passato dietro al computer, un giorno si è ritrovato a reinventarsi, dando spazio a quel sogno che coltivava da tempo e che senza saperlo sarebbe diventato il suo lavoro, il suo futuro. «Io mi sento molto autodidatta e inizialmente non avendo quell’esperienza tipica del ceramista, mi sono rivolto a qualche mio ex professore del liceo artistico che mi ha aiutato». Tra tutti uno è il nome che porta nel cuore, quello dell’artista Ermonde Leone. «Sicuramente la persona a cui devo di più per avermi trasmesso tanto della sua esperienza». Come detto però dal laboratorio del maestro Nicola vengono fuori opere che hanno un loro percorso intimo, se così possiamo dire, prima di trovare luce e forma. «Sono piccoli o grandi leggende delle tradizioni popolari orali che si tramandano e che io mi porto dentro magari sin da bambino, avendole ascoltate dalle persone più grandi, parenti o amici».

Un bagaglio di tradizione che rivive anche grazie a questa forma d’arte, ma la sua è anche un’interpretazione personale, sensibile che aggiunge sempre qualcosa, se vogliamo quella polvere di stelle che fa diventare magia un oggetto, tale per cui non te lo dimentichi più. «I presepi che faccio hanno scene popolari contestualizzate nei nostri territori, ma vado sempre alla ricerca di forme che rompono anche col passato». Una su tutte l’ultima sua opera: la Sibilla aspromontana…ma questa è un’altra storia.

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