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Si conclude la prima parte del FACE 2016, una maratona di immagini e musica che per quattro giorni ha invaso il Fortino di Arghillà. Dopo Paolo Genoese, Paolo Albanese, Francesco Scialò, Marcello Arosio di Kernel, Ernesto Orrico, Riccardo Melito e Tamara Marino, incontriamo Mauro Laruffa. In una saletta sull’ala destra del forte ha trovato posto una scultura bizzarra, ludica, sinteticamente contratta nelle forme e fissa nell’espressione. Si tratta dell’opera dal suggestivo titolo “Riflessioni di disagio con mare mosso” di Laruffa. Si riconosce un corpo, ma trattato in forma aniconica e la sintesi di una struttura che potrebbe essere un ombrellone o qualcosa che funge da riparo, finto riparo visto che non ne rimangono che brandelli di materia. Accanto una finestra di pigmento di colore azzurro… sembra il mare. “In realtà se guardi bene questo personaggio ti accorgi che l’espressione c’è, l’aria è smarrita, gli occhi sono vuoti – racconta l’artista - Il pensiero che sta dietro il lavoro rimanda a tutte le migliaia di persone che ogni mese arrivano sulla nostra terra, immigrati e naufraghi, e li vedi in giro poi, spesso con quest’aria smarrita e vuota appunto. E poi c’è l’azzurro del mare, il luogo che hanno attraversato e che per noi, cresciuti in questa terra, è simbolo di libertà, ampiezza, orizzonte, mentre per loro si trasforma in un vortice di morte e paura.” Laruffa è autodidatta e prosegue il suo percorso da outsider attraverso l’assemblaggio di parti da un tutto “già dato”; come un bricoleur assembla, combina, trasforma partendo da ciò che ha. I materiali usati infatti sono di scarto e riciclo, come di consueto. Lo scheletro della scultura è in ferro, il resto si compone di polveri colorate che con paziente riflessione si poggiano sulle superfici fino a dargli uno spessore. Tra i workshop più apprezzati, quello a cura della Bottega Artigianale Danisia, in programma fino al 9 agosto, in cui vengono sperimentate attivamente le fasi della lavorazione della ginestra: raccolta – selezione delle vermene – preparazione mazzetti – bollitura – macerazione in acqua del ruscello – scorticatura – sfibratura – battitura – lavaggio – cardatura – filatura. La prima parte del FACE termina dunque in una ariosa serata di agosto. Tra i tanti volti scesi nella sua arena: Jessica Barret, Leonardo Cannistrà, Carmela Cosco, Enrico Ferrari, Salvatore Minoliti, Cristina Comi, Lucrezia Zema, Enzo Penna, Antonio Sollazzo, Larissa Mollace, Domenico Lofaro, Jhonny Wild e Ivana Russo. E tra le tante riflessioni che questa prima parte del festival ha e può provocare, quella sull’identità sembra la più rilevante anche in considerazione dell’hashtag #tradizionevoluzione lanciato come un leitmotiv ed a cui direttamente e indirettamente molti dei lavori che abbiamo visto si connettono. C’è l’identità di un luogo, infatti, connotato geograficamente all’interno di una rete di 24 fortini a guardia dello Stretto costruiti nel secolo scorso e che fino a qualche tempo fa giaceva in disuso e l’identità di un evento che continua a vivere grazie all’entusiasmo ed alla volontà degli organizzatori e dei singoli individui che di volta in volta scelgono di imbarcarsi in questa avventura. L’arte più volte si è dimostrata l’azione più efficace e immediata per riportare in vita aree dismesse e in disuso, arte intesa non come momento esclusivamente espositivo, ma come momento di relazione, di connessione, di partecipazione tra più persone che tra sogno e realtà decidono di condividere un’idea. Spesso i protagonisti della storia si somigliano, a volte si ripetono o si rincorrono negli anni ma questo è il giusto spirito di un progetto che prende una posizione, decidendo di sostenere gli artisti del proprio territorio mettendo loro a disposizione uno spazio unico e i giovani talenti che hanno bisogno di sperimentare e di relazionarsi con gli spazi fisici prima ancora che mentali dell’arte. Così l’identità che è anche memoria, tradizione e necessariamente evoluzione, prende forma in questo luogo in cui metaforicamente si è parlato anche di naufragio, e se il naufragio è quel punto in cui non si è più, se ancorati a qualcosa di forte, solido e duraturo naufragare sarà dolcissimo, perdersi per poi ritrovarsi tra colori, musica ed immagini. Le mostre del FACE rimarranno aperte anche questa sera e domani a partire dalle ore 19:00. Appuntamento con la seconda parte del FACE per domenica 28 agosto con Emmet Cohen Trio. Artista di soli 27 anni, vero e proprio prodigio del piano, non a caso finalista del prestigioso “Monk Competition”, uno dei concorsi per solisti jazz più importanti al mondo. E nel 2015 finalista all’American Pianists Association’s Fellowship. La sua grande padronanza dello strumento e l’innovativo palato armonico lo hanno reso uno dei più richiesti musicisti della scena jazz di New York, dove collabora regolarmente con grandissimi musicisti tra cui Christian McBride, Maceo Parker, Joshua Redman, Billy Hart, Patty Austin. L’evento è realizzato in collaborazione con il Peperoncino Jazz Fest 2016 e consigliato dall’ambasciata USA in Italia, gemellata con la manifestazione.
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Il 14 ottobre 1885 nasceva ad Agrigento il vescovo fondatore delle Suore Salesiane Oblate del Sacro Cuore. È stato Pastore di Bova dal 1933 al 1939.
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