
“Caos a Broadway” va in scena al Teatro San Bruno
Lo spettacolo è prodotto da Calabria dietro le quinte, in collaborazione con la compagnia Blu
«Si spoglia, il Maestro, e si fa servo. Si inginocchia. L’acqua scorre, e la Parola si fa gesto»
Quando salgo al Cenacolo porto con me una domanda: “Signore, come si ama fino alla fine?” Qui, a Gerusalemme, tra le pietre che hanno ascoltato le ultime parole del Maestro, il tempo è denso, sospeso. Qui ogni volta torna il rumore dell’acqua nel catino e la liturgia della Parola del Giovedì Santo si invera con gesti ed intimità. L’Esodo ci racconta dell’agnello immolato, delle case segnate dal sangue (Es 12,1-14). È una notte di veglia, memoriale perpetuo di liberazione. Era la Pasqua dei padri, e Gesù, salendo in questa stanza al piano superiore (Lc 22,12), vi entra per compiere, trasfigurare il suo desiderio.
“Desiderio ho desiderato”! (Lc 22,15). Il Maestro usa un’espressione ebraica che accende il cuore. Gesù dicendo "ho ardentemente desiderato questo momento, lo porto nel cuore da sempre", è come se dicesse: "Tutta la mia vita -la mia carne, il mio sangue-, tutto l’amore che porto per voi ha atteso questo istante”. È il compimento di un’intimità, di una comunione, di un dono totale: il pane spezzato e l’acqua nel catino. Gesù “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano…”. Si spoglia, il Maestro, e si fa servo. Si inginocchia. L’acqua scorre, e la Parola si fa gesto.
Ed è proprio lì, tra l’acqua e il pane, tra il grembiule e il calice, che si rivela il cuore dell’Eucaristia: un Dio che si dà, si abbassa, si spezza, si versa. Un Dio che ama fino in fondo e consegna la sua Presenza non solo in un pane da adorare, ma in un corpo da lavare, in una relazione da custodire, in una fraternità da ricomporre, nella promessa del Consolatore.
Chi prega in questo luogo – come cerco di fare sempre più spesso, ringraziando Dio per il dono di essere qui per voi – sente e sa che qui Dio si è abbassato. Lui non ha spiegato, ha lavato. Non ha predicato, ha consolato. E quindi l’impegno delle domande resta. Anche quella sera, nessuno capiva: “Tu lavi i piedi a me?”, dice Pietro, con l’incredulità dei discepoli che siamo. Ma è così che si ama fino alla fine. Non con parole alte, ma piegandosi. Non prendendo, ma offrendo. Non dominando, ma servendo.
Non si può ricevere il Corpo di Cristo senza lasciarsi toccare dal suo cuore di servo (Gv 13,14). Perché Gesù non ha lasciato una dottrina, ha lasciato sé stesso: “fate questo in memoria di me”: non è solo un detto, non sono parole citate, è una vita, è il cuore di un servo, di un servo per amore. E ogni volta che celebriamo, noi sacerdoti, ogni volta che saliamo al piano superiore, entriamo in quella notte con Lui. Con le nostre domande, con le nostre paure, ma anche con la certezza che il Maestro è ancora lì, inginocchiato ai nostri piedi: ci consola lavando ciò che noi stessi fatichiamo a guardare; ci consola affidandoci l’unico potere che salva: quello dell’amore servizievole; ci consola rendendoci, a nostra volta, pronti a consolare.
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Per questo, ogni Giovedì Santo ci si rimette in cammino, poi, verso il Getsemani. Si sale. Si scende. Si ascolta. Si lascia fare. E si ama -nonostante il bacio- nel memoriale vivo di Colui che ci ha amati per primo. Ogni volta che salgo al Cenacolo porto con me una domanda, e incontro poi la risposta. È sempre la stessa: “quello che vi trasmetto è quello che ho ricevuto (1Cor 11,23): si ama partendo dai piedi… e restando nel Pane, per sempre!”.
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