Avvenire di Calabria

In pagina anche i contributi e le analisi di Massimiliano Mura direttore Ispettorato del lavoro dell'area metropolitana di Reggio Calabria e Cosimo Piscioneri segretario generale CISL Reggio Calabria

Lavoro invisibile, ferita evidente

Sul tema interviene direttore dell’Ufficio per i problemi sociali della Cei don Bruno Bignami che propone analisi e soluzioni su un fenomeno troppo diffuso e dai profondi risvolti sociali

di Davide Imeneo

Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram
Share on facebook
Share on twitter
Share on whatsapp
Share on telegram

Il primo martedì di aprile è dedicato alla giornata del lavoro invisibile, istituita per mettere in luce un aspetto oscuro e sconosciuto del mondo sommerso. Questa giornata si concentra, in particolare, su tutto ciò che avviene all’interno delle mura domestiche: dall’assistenza familiare alle più svariate attività che non prevedono un contributo economico e che penalizzano, in modo particolare, il mondo femminile.


Non perdere i nostri aggiornamenti, segui il nostro canale Telegram: VAI AL CANALE


È, tuttavia, l’occasione per allargare la riflessione da questo fenomeno circoscritto a tutti quegli ambiti sommersi che riguardano il mercato del lavoro o le attività paralavorative, non adeguatamente riconosciute o retribuite. Ne discutiamo in modo approfondito in questa pagina, grazie al contributo di tre personalità che trattano proprio di questi temi nei loro ambiti d’azione.

Don Bruno Bignami: «Rendiamo visibile il lavoro»

Intervista a cura di Davide Imeneo

Il lavoro “invisibile” è ancora una piaga della nostra società. Questione affrontata dalla Dottrina sociale della Chiesa e dal magistero di papa Francesco. Ne abbiamo parlato con don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, declinando il tema su tutte le varie forme di sommerso legate al mondo del lavoro.

Quali misure concrete possono essere adottate per contrastare il lavoro invisibile e tutelare i diritti dei lavoratori?

Ce ne sarebbero diverse. Ad esempio, una proposta è legata al salario minimo, che merita certamente un’attenta valutazione. Così come andrebbero rivisti i contratti per adeguare gli stipendi al tenore di vita delle persone. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che ritengo sia cruciale: la cultura del lavoro.

Don Bruno Bignami è il direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei

Una sfida significativa riguarda la sicurezza sul lavoro. Senza adeguati investimenti in questo ambito, le persone continuano a rimanere esposte a rischi, ma soprattutto c’è tutto quel sottobosco di lavoro nero, di lavoro invisibile che rischia di non emergere mai. Pertanto, è essenziale affrontare la questione del lavoro partendo dalle reali condizioni di vita delle persone, considerando la sicurezza sul lavoro non come un onere, ma come un investimento sul futuro delle persone e dei luoghi di lavoro stessi.

Come si può contrastare il caporalato, piaga che sfrutta i lavoratori in condizioni spesso degradanti?

Innanzitutto intensificando i controlli. Nonostante l’esistenza di norme specifiche contro il caporalato, se tale pratica persiste, significa che le leggi non vengono adeguatamente applicate o ci sono individui che le aggirano con facilità. Questa non può essere, però, l’unica strategia. Serve una formazione delle coscienze rispetto a questo tema. Ad esempio chiedendo alle associazioni di categoria di dissociarsi o espellere chi, tra i propri iscritti, usa il caporalato come forma di guadagno. Altra cosa da fare è educarci al consumo responsabile. Quando sappiamo che alcuni prodotti sono risultato dello sfruttamento lavorativo e vengono venduti nei supermercati a prezzi irrisori, dovremmo fare una valutazione prima di acquistarli, evitando di prestarci al gioco dei guadagni sporchi.

Come si può promuovere una cultura del lavoro basata sulla legalità e sul rispetto dei diritti?

Il cuore della questione che riflette, tra l’altro, tutto il pensiero sociale della Chiesa è rimettere al centro la persona, promuovendo una cultura del lavoro non materialistica. Bisogna ribaltare una visione che valorizzi il profitto e l’auto-promozione come criteri esclusivi e ripensare il lavoro e il posto di lavoro come ambiti comunitari, dove le persone sono viste come comunità che esprime relazioni e legami. La “Laudato si” va in questa direzione, anche se non sempre abbiamo colto la profezia di questa enciclica del magistero di papa Francesco e del pensiero della Chiesa. La cultura del lavoro non sarà materialistica nella misura in cui viene concepita come contributo alla costruzione della casa comune. Di conseguenza, ogni lavoratore e ogni esperienza lavorativa ha il potenziale di arricchire il mondo o, al contrario, di distruggerlo.

Esistono delle buone prassi in cui la Chiesa si fa carico delle condizioni di degrado di lavoratori sfruttati e senza diritti? Ne può raccontare una?

Le “buone pratiche” non sono solo quelle della Chiesa. Del resto la comunità cristiana, nel recensirle, non le ha mai etichettate esclusivamente come “pratiche della Chiesa” o come “buone pratiche di altre realtà”. Esse sono, semplicemente, buone pratiche. Questo è importante perché significa riconoscere il valore del lavoro a prescindere: visto come luogo davvero di umanizzazione, ma anche cittadinanza attiva e valorizzazione della persona. Tra le esperienze che meritano di essere menzionate, e che abbiamo cercato di promuovere negli ultimi anni, ci sono le cooperative di comunità che hanno ridato vita a luoghi che sembravano spacciati, abbandonati senza futuro, grazie soprattutto all’intraprendenza e allo spirito di alcuni, in particolare di giovani. Un esempio emblematico è rappresentato dalla “Paranza” di Napoli, nel rione Sanità, che ha valorizzato dei beni abbandonati come le catacombe e, allo stesso tempo, ha contribuito alla rinascita culturale e sociale del quartiere.

Infine, come vede il futuro del lavoro in Italia e quali sono le principali azioni che ritiene necessarie per garantire un lavoro dignitoso per tutti?

Siamo in un’epoca di grandi cambiamenti. Basti pensare all’impatto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro. Il futuro si prospetta incerto, ma anche ricco di opportunità. Ecco perché va seminato oggi quello che raccoglieremo domani. Per non arrivare impreparati dobbiamo concentrarci sulle esigenze attuali, come l’importanza della formazione continua, fino a poco tempo fa sottovalutata. Inoltre, va affrontato il cosiddetto “mismatch” lavorativo: la difficoltà di colmare il divario tra domanda e offerta di lavoro a causa di un orientamento non adeguato dei giovani verso le professioni più richieste e spesso anche più remunerative. Infine, serve un impegno per garantire salari equi e migliorare le condizioni lavorative, soprattutto per giovani e donne, che tutt’ora ricevono stipendi non commisurati alle loro funzioni. Questa è una situazione inaccettabile che richiede un’azione immediata.

Mura (Ispettorato del Lavoro): «Non solo contrasto, la sfida è anche culturale e sociale»

Intervista a cura di Francesco Chindemi

«I lavoratori invisibili caratterizzano in misura preponderante i periodi di profondo cambiamento dei modelli produttivi. In minore misura, sono rilevabili in ogni epoca come elementi “distorsivi” del mondo del lavoro. Anche al giorno d’oggi». È quanto afferma Massimiliano Mura, direttore dell’Ispettorato del lavoro dell’area metropolitana di Reggio Calabria che definisce il fenomeno tra le principali cause di «spersonalizzazione del lavoro» già a partire dalla rivoluzione industriale.

Dottor Mura, chi sono i lavoratori invisibili?

I lavoratori invisibili caratterizzano in misura preponderante i periodi di profondo cambiamento dei modelli produttivi. In minore misura, sono rilevabili in ogni epoca come elementi “distorsivi” del mondo del lavoro. Sono stati un imponente fenomeno ai tempi della rivoluzione industriale quando, nel passaggio dalla produzione artigianale a quella di fabbrica, i titolari di azienda preferirono impiegare in catena di montaggio uomini poco inclini all’informazione, di mentalità acritica, bisognosi di mezzi di sostentamento e dotati di uno spiccato “spirito di sacrificio”, determinando così una forte spersonalizzazione del lavoro.

Massimiliano Mura è il direttore dell’Ispettorato del lavoro dell’area metropolitana di Reggio Calabria

Anche ai nostri tempi i lavoratori invisibili costituiscono una infelice realtà e sono conseguenza del forte cambiamento nei rapporti organizzativi e gerarchici del sistema imprenditoriale, dove il potere decisionale e d’indirizzo della produzione è molto distante dai relativi processi attuativi-esecutivi. Nell’attuale fase di cambiamento, che dura ormai da quasi un quarto di secolo, la vigente normativa lavoristica non è più in grado di rispondere alle esigenze concrete dei mutati rapporti di subordinazione. Rapporti che non sono più strutturati esclusivamente nella classica forma di soggezione gerarchica al potere direttivo del datore di lavoro.

Dove si annida il sommerso?

È proprio nelle “zone grigie” della regolamentazione, nell’inadeguatezza delle discipline normative e contrattuali all’evoluzione dei rapporti datore-lavoratore (e dei mutamenti dei rispettivi rapporti di forza), quando non addirittura nella totale assenza della legge, che proliferano i casi concreti di riduzione, di compressione o di azzeramento delle tutele per i lavoratori. Tutele sotto tutti i profili delle condizioni di lavoro: dai tempi di lavoro e di riposo, alla giusta retribuzione, dalla salute e sicurezza, alla cura della maternità, della genitorialità, dei minori e, in definitiva, della famiglia.

Un quadro desolante che incide profondamente anche sul livello generale del benessere psico-fisico della popolazione, che annovera nel corpo sociale soggetti disconosciuti, privi di ruolo e identità nella collettività.

In Calabria, ad esempio, il caporalato rappresenta tra le principali piaghe da debellare. Ma è la sola?

Il caporalato è una piaga, non solo per le vittime dirette ma per tutti i componenti del tessuto sociale. Il fenomeno riguarda principalmente i lavoratori agricoli delle grandi raccolte agricole (dalla Puglia alla Calabria, con le raccolte dei pomodori e degli agrumi e kiwi, ma non dimentichiamo anche il Veneto e il Trentino, con la vendemmia e la raccolta delle mele). Persone vittime di sfruttamento, ai limiti (quando non nel pieno) della riduzione in schiavitù, sottoposti a minacce e violenza fisiche, destinatari di alloggi malsani, privi di servizi sanitari, energia elettrica e di un minimo di confort per il riposo. È in queste fasce della popolazione che l’indigenza può portare (e, spesso, porta) alla necessità di delinquere o di prostituirsi per mancanza di diverse e lecite modalità di procacciamento di mezzi economici.

Ma è una ferita aperta anche quella rappresentata dai lavoratori più vicini alla nostra quotidianità, impiegati, per esempio, nella grande distribuzione, nel commercio e nei pubblici esercizi, senza alcun contratto, totalmente sconosciuti al sistema contributivo-assicurativo o, nella migliore delle ipotesi, con un contratto di poche ore giornaliere (e poca retribuzione mensile) a fronte dieci-dodici ore al giorno di effettiva prestazione lavorativa, sette giorni su sette.

Penso, poi, ai lavoratori ingaggiati per brevi spazi di tempo, con prestazioni lavorative ripetute con più o meno frequenza. Sono i riders, assoldati da piattaforme telematiche e impiegati spesso dai titolari di pubblici esercizi o di servizi postali, per le consegne a domicilio. Sono le/i promoter presenti nelle iniziative fieristiche o convegnistiche e gli addetti al volantinaggio. Senza dimenticare tutte le lavoratrici e lavoratori impiegati a vario titolo nel chiuso delle mura domestiche (per esempio: badanti, colf, baby-sitter e caregiver legati da un vincolo di parentela).

Accanto alla repressione cos’altro si può fare?

Continuo a credere nell’informazione a fini preventivi. Un’informazione che coinvolga non solo i datori di lavoro, i professionisti e le associazioni datoriali e quelle dei lavoratori. Ma che si rivolga direttamente alle fasce deboli della popolazione rendendo edotte dei propri diritti e doveri in quanto lavoratori, le persone in stato di bisogno. Quasi sempre, sia in fase preventiva che nel corso dell’attività ispettiva, ci troviamo davanti a persone che non hanno accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali né ai canali della giustizia. Persone che molto spesso disconoscono i limiti temporali della prestazione lavorativa, i periodi obbligatori di riposo e di ferie e che non sanno come attivare il proprio diritto alla retribuzione garantita. In molti casi trovano persino normale rischiare l’incolumità personale nell’eseguire il lavoro.

Fin dal suo arrivo a Reggio Calabria ha puntato sulla necessità di fare fronte comune. È un’idea fattibile?

Sono favorevole alle sinergie che portino avanti utili e concrete iniziative mirate ad informare ed aggiornare datori di lavoro e lavoratori e, più in generale, a diffondere la cultura della legalità negli ambienti maggiormente sensibili: penso, per esempio, a ben calibrati interventi informativi in favore di scolari e studenti.


PER APPROFONDIRE: Occupazione femminile, Calabria ancora in ritardo. La Regione: «Impegnati a garantire parità»


Nel breve termine, sul versante della prevenzione, è di prossima realizzazione un’iniziativa informativa rivolta ai lavoratori migranti ospiti dei Centri di accoglienza straordinaria, in collaborazione con la Prefettura e i titolari dei CAS stessi.

Sul versante della repressione, operano stabilmente le attività ispettive congiunte dell’Ispettorato d’Area metropolitana di Reggio Calabria sia le Forze dell’ordine, sia con i mediatori culturali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), in tutti i settori produttivi, con particolare attenzione a quello dell’agricoltura.

Piscioneri (Cisl): «Uscire del sommerso richiede un impegno comune»

di Romolo Piscioneri - Segretario generale Cils Città Metropolitana RC

Considero il lavoro come espressione del fare e campo pratico d’idee, pensiero e creatività, qualcosa di poco idiliaco ma ancora essenziale per sorreggere un ordine basato sull’impegno e le fatiche di uomini e donne, lavoratori e lavoratrici.

Mi piace narrare del lavoro come un dono per se stessi e gli altri, in un tempo d’impietose statistiche, che lo mortificano e lo rendono subalterno a tanta ingiustificata superficialità, in un modello di economia globalizzata, caratterizzata da un crescente grigiore che getta un’ombra sulla qualità del lavoro.

Romolo Piscioneri è segretario generale della CISL Città metropolitana di Reggio Calabria

 Si zavorra il cammino del progresso, della dignità della persona, della spiritualità e armonia della comunità. Un grigiore che sciupa diritti e tutele essenziali a danno delle persone che lavorano.

«Una resurrezione verso una solidarietà creativa e contagiosa»

Serve una forza liberatrice, che inventi un nuovo modo di emancipazione sia tra chi il lavoro lo crea sia tra chi quotidianamente lo svolge.

Una resurrezione verso una solidarietà creativa e contagiosa, capace di espandersi in quelle oasi di sofferenza, a volte ghetti, primitive forme di un agire mancante di qualsiasi assistenza sociale, culturale, educativa, oltre alle pressioni dettate dal giogo delle necessità.

Il lavoro (im)possibile e invisibile

Gente schiva, smarrita ma coraggiosa, in cerca di lavoro e speranza per un futuro migliore. Gente che parte e compie scelte tra dilemmi, incertezze, lacerazioni, obblighi, fenomeni che assumono una particolare intensità e che in tante nostre realtà s’identifica come extracomunitaria, immigrata, in cerca di lavoro e di un suo giusto compenso.

Una provvisorietà dietro la cui facciata non si scorge il segno di un procedere chiaro, trasparente, caratterizzato da comportamenti e provvedimenti rispettosi delle leggi, delle regole, dei contratti.

È così che inizia quel lavoro invisibile, di bassa qualità, mal pagato e sfuggente all’applicazione di quelle regole utili a renderlo dignitoso, soggetto a retoriche senza le giuste conoscenze per trovare soluzioni e alternative coerenti con i tempi e soprattutto con le esigenze di ciascuno.

Una via ispirata che superi la logica dello sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, ponendoli in armonia con le reciproche attese e sempre con speciale riguardo verso il più debole, quello che merita di essere portato in emersione, con la giusta visibilità, tutti i diritti, nonché l’utilità e l’essenzialità del suo lavoro, un agire equo, a vantaggio di tutti, senza preferenze, nel rispetto delle regole e della dignità di ciascuno.

Non si può dormire nelle baracche, immersi tra fango e freddo, la notte ed essere lavoratori e lavoratrici di giorno senza che nessuno se ne accorga, si diventa invisibili giacché non si rispettano la legislazione del lavoro, i contratti e gli accordi che regolano la vita lavorativa in ogni sua componente, dagli aspetti sanitari preventivi, alla sicurezza sui luoghi di lavoro, all’orario giornaliero di lavoro, alla congrua retribuzione oraria, da erogare secondo tempi e precise modalità.

Ecco le altre forme di "invisibilità"

Insieme al lavoro invisibile degli immigrati, molte volte senza permesso di soggiorno, si nascondono altre forme di lavoro invisibile, presente in molti settori o contesti, dove si svolge la nostra quotidianità, soprattutto in ambito familiare.

Si aggiungono le disuguaglianze di genere, che nonostante gli impegni e i provvedimenti adottati continuano ancora, in tanti luoghi di lavoro, con scelte che finiscono con il penalizzare le donne, dove molte delle loro fatiche si infrangono in quei lavori mai considerati tali e mai riconosciuti come attività lavorativa vera.

Lavoro invisibile, almeno per il momento è, quel tempo dedicato ai lavori di casa, di cura per le persone anziane, per i figli, che trovano la donna protagonista costringendola a rinunciare alla carriera o a svolgere quei lavori regolarmente retribuiti, frutto di una contrattazione collettiva nazionale e territoriale, nel pubblico come nel privato.

Il più delle volte è così, sono quelle costrette a svolgere più lavori contemporaneamente e tra questi quelli cosiddetti invisibili, non supportati da contratto alcuno e non contestualizzati in nessuna statistica economica di base. Restano fuori anche quei lavori agricoli di sussistenza e quelli di supporto ad alcuni tipi d’impresa familiare, quasi mai individuati e censiti a fini economici.

Sono una componente importante del lavoro invisibile, quelle attività che non suscitano interesse e rilevanza economica in dinamiche che vedono il mercato unico protagonista.

Gli "invisibili" visibili

Altra cosa è quel lavoro che passa come lavoro invisibile, ma, di fatto, non lo è, poiché apre uno scenario ampio e complesso su tutte quelle tipologie di lavoro precario, somministrato, voucher, occasionali partite iva, che se pur previsti, mancano ancora di una maggiore tutela o comunque non raggiunge tutti quegli elementi necessari per poterli considerare lavori sani e senza sopraffazione o sfruttamento alcuno.

Sono lavori a preciso sostegno di tante attività economiche, rendono una produzione visibile, creano basi commerciali e permettono scambi di merci in giro per i mercati locali e contribuiscono per quelli del mondo intero.

Cosa serve?

Su tutto ciò occorre che si faccia chiarezza e si mettano al servizio di chi lavora tutte quelle tutele necessarie mediante una minuziosa contrattazione e concertazione tra le parti, come fondamentale strumento di riconoscimento di diritti e organizzazione di doveri, sempre rapportati al contesto e a eventuali specificità che non vanno trascurate.


Adesso siamo anche su WhatsApp, non perdere i nostri aggiornamenti: VAI AL CANALE


Non solo azioni di contrasto ma approfondimenti e studio di soluzioni nascenti da osservatori di raccordo e coordinamento tra politiche attive per il lavoro, ambiti politici, istituzionali, sociali e organismi paritetici nazionali e territoriali, affinché si compiano quei provvedimenti rispettosi dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, ovunque e per qualunque attività lavorativa, senza mai mortificare la dignità e il valore della persona, che viene prima da ogni altra cosa.       

Articoli Correlati