Rifiuti ma anche fiori, e poi ancora frutta, uva, commercio e grande distribuzione, la ristorazione. Insomma, tutto ciò che può far fare soldi, tanti soldi. Con un’attenzione particolare all’agroalimentare. Sono i tratti salienti di quelle che ormai vengono chiamate agromafie. Malaffare organizzato, cattivo, subdolo, potenzialmente presente pressoché ovunque. Quelle delle agromafie sono organizzazioni criminali a tutti gli effetti, e organizzazioni miliardarie. Difficili da combattere. Uno dei nemici principali del buon agroalimentare italiano. E quindi del buon nome del Paese.
A conti fatti (dai coltivatori diretti), il fenomeno delle agromafie in Italia vale qualcosa come 21,8 miliardi di euro.
Per capire la dimensione basta un confronto: il “fatturato” agroalimentare mafioso, vale poco più della metà dell’intero valore delle esportazioni agroalimentare italiane nell’ultimo anno. E cresce. Con casi che le cronache quasi ogni giorno ci raccontano. È di pochi giorni fa, per esempio, l’operazione della divisione polizia anticrimine della Questura di Catania che ha portato al maxi-sequestro di beni per 41 milioni di euro, tra cui l’intero patrimonio aziendale della catena di supermercati Gm con oltre una decina di punti vendita nell’area urbana e nella provincia, di proprietà di un imprenditore ritenuto orbitante nell’area di influenza del clan Cappello. È invece di poche settimane fa, sempre a Catania, il sequestro di beni per 20 milioni di euro nei confronti di un esponente di spicco del clan mafioso “Dominante”, della Stidda, egemone a Vittoria e in tutta la provincia di Ragusa. Qui il clan imponeva sul mercato florovivaistico beni, merci e servizi riconducibili ad imprese “amiche”, oltre che usare le proprie ditte non solo per l’importazione di fiori ma anche per il traffico della cocaina. Senza parlare del traffico di rifiuti oppure degli innumerevoli fenomeni legati al caporalato e agli immigrati usati come merce e manovalanza a basso costo nei campi.
Più in generale, le mafie sanno condizionare alla perfezione il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. Per questo che non bisogna pensare le agromafie come un fenomeno limitato solo ad una parte del Paese.
È qui poi (oltre che nel traffico di droga), che emerge tutta la subdola e pericolosa capacità delle organizzazioni criminali di far soldi sulla pelle di tutti. Le agromafie – ha sottolineato più volte Coldiretti -, si appropriano “di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy”. Ad essere a rischio, quindi, sono un po’ tutte le produzioni alimentari nazionali, anche all’estero. Ed è per questo che anche i successi delle nostre vendite oltre confine – uno per tutti quello dei formaggi che nel 2017 hanno visto crescere le vendite del 6% -, non possono che essere ritenuti da proteggere non solo dalla concorrenza ma anche dalla mafia. “I formaggi italiani più esportati sono purtroppo anche quelli più taroccati”, ricorda Coldiretti.
Ma non tutto è necessariamente perduto. Anzi. La buona agricoltura e l’agroalimentare competitivo e di grande livello, hanno uomini e numeri per guadagnare ancora spazio. Quanto alle agromafie, queste vanno contrastate nei campi e nelle stalle, sotto le serre, negli orti, nei capannoni di stoccaggio e soprattutto nei luoghi in cui la trasparenza lascia il posto alla opaca burocrazia e alla confusione dei ruoli e degli intenti. Gli strumenti per combattere le mafie dei campi sono poi negli agricoltori stessi, nelle forze dell’ordine, nelle associazioni civili e di territorio, nell’applicazione limpida delle regole e nella pulizia morale che deve albergare in ognuno di noi.